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Quando si farà il referendum sulla riforma della giustizia e quali partiti sono per il Sì e per il No

La riforma della giustizia è stata approvata al Senato in via definitiva, ma senza la maggioranza dei due terzi. Così ora inizia il conto alla rovescia verso il referendum costituzionale, che sarà senza quorum. La data indicata è tra marzo e aprile 2026, ma potrebbe slittare. A favore tutto il centrodestra insieme a Azione, contrari gli altri, ma con delle distinzioni.
A cura di Luca Pons
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Dopo il via libera definitivo del Senato alla riforma della giustizia, che prevede la separazione delle carriere e un cambiamento radicale del Csm, il percorso della legge non è ancora finito. Dal Parlamento, lo scontro politico si sposterà nel resto del Paese. Si terrà, infatti, un referendum costituzionale per bocciare o confermare la legge.

Questo sarà il passaggio decisivo. Visto che non si tratta di un referendum abrogativo, non ci sarà quorum: il risultato sarà valido a prescindere dall'affluenza. In più, a differenza dei referendum abrogativi, la formulazione sulla scheda sarà più diretta: Sì per approvare, No per annullare la riforma. La data potrebbe slittare fino alla prossima estate, ma si cercherà di fissarlo tra marzo e aprile. Favorevole alla riforma il centrodestra, ma anche Azione. Contrari gli altri partiti, anche se con motivazioni diverse.

Cosa succede ora alla riforma della giustizia

Ora che il Senato ha dato l'ultimo via libera, è partito l'iter per il referendum costituzionale. A regolarlo è una legge del 1970. Il testo sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale, con una scritta che specifica che è stato approvato, ma con una maggioranza più bassa dei due terzi (in caso contrario, avrebbe potuto entrare subito in vigore). Da quel momento, scatterà un conto alla rovescia di tre mesi per richiedere il referendum.

Posso farlo 500mila elettori, oppure cinque Consigli regionali, o anche un quinto dei parlamentari di Camera o Senato. Questa sarà la strada scelta, perché è la più rapida, e non ci saranno problemi a trovare un 20% di deputati o senatori pronti a firmare. Sul referendum spinge soprattutto l'opposizione, ma anche il centrodestra ieri ha detto di essere intenzionato a sostenerlo, per confermare la riforma con il voto popolare.

Come detto, ci sono tre mesi di tempo per completare la pratica. In teoria, quindi, si potrebbe aspettare fino a fine gennaio 2026. Ma tutti sono interessati a muoversi più rapidamente, per accelerare i tempi del voto. Dunque, ci si può aspettare che la richiesta ufficiale di una consultazione referendaria arrivi ben prima.

Tutte le tappe verso il referendum costituzionale

Le firme dei parlamentari andranno consegnate alla Corte di Cassazione. Qui, i giudici costituiranno un Ufficio centrale per il referendum, che analizzerà la richiesta per controllare che segua tutte le norme previste. La decisione dovrà arrivare entro 30 giorni, se non ci sono irregolarità. Altrimenti, servirà qualche giorno in più per sistemarle.

Arrivato il via libera dei giudici, la palla passerà al presidente della Repubblica. Sarà Sergio Mattarella, con un decreto approvato dal Consiglio dei ministri, a fissare formalmente la data. Per farlo avrà 60 giorni di tempo. Il voto si dovrà tenere "in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo" all'annuncio del capo dello Stato.

Dunque: fino a tre mesi per richiedere il referendum; un mese per i giudici; due mesi per il presidente della Repubblica; e infine da 50 a 70 giorni per il voto. Se si procedesse così, si potrebbe andare avanti fino all'estate 2026. Ma è noto che i mesi estivi sono un momento complicato per la politica. L'attenzione dei cittadini scende, portare persone alle urne è più difficile.

Immaginando però che la richiesta di referendum arrivi prima dei tre mesi (magari già nelle prossime settimane), i calcoli portano al periodo che anche il governo ha indicato come migliore: una domenica tra marzo e aprile. Questo è il giorno in cui con tutta probabilità sarà fissato l'appuntamento con il voto.

Quali partiti sono a favore e quali contro la separazione delle carriere

Come è naturale, tutti i partiti del centrodestra si sono schierati a favore della riforma dopo averla votata in Parlamento. La riforma è un cavallo di battaglia di Forza Italia, che sulla giustizia ha sempre avuto una linea critica, ma anche Fratelli d'Italia e Lega, insieme a Noi moderati, supportano il testo e faranno campagna per il Sì.

Insieme al centrodestra, anche Azione di Carlo Calenda ha votato a favore della riforma. Calenda sui social ha difeso il contenuto della legge, ha criticato gli attacchi del governo alla magistratura, ma non ha ancora chiarito se il suo partito farà apertamente campagna per il Sì. "Di altro non si parlerà più. Lavoro, sanità, scuola, industria (a pezzi), energia scompariranno dal dibattito. Divertitevi", ha commentato.

Opposti, invece, tutti gli altri partiti delle opposizioni. Gli attacchi più duri sono arrivati da Pd, Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra: "Questa riforma serve ad avere le mani libere e porsi al di sopra della Costituzione", ha commentato la segretaria dem Elly Schlein. "Credo sia un obiettivo politico quello di sottrarsi a qualsiasi controllo della magistratura", ha concordato Giuseppe Conte. E per Avs Angelo Bonelli ha parlato a Fanpage.it di "svolta autoritaria".

Anche Italia viva di Matteo Renzi ha criticato la riforma, ma in Aula si è astenuto. L'ex premier l'ha definita una "riformicchia", sminuendo comunque le preoccupazioni degli altri esponenti della minoranza: "Se pensate di costruire una piattaforma alternativa alla destra sulle rivendicazioni della Anm, state cacciando un sacco di gente riformista che vuole il garantismo nel centrosinistra", ha detto. Insomma, la campagna per il Sì partirà, probabilmente, con toni e obiettivi ben distinti.

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