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Poche risorse su personale e liste d’attesa: spesa sanitaria italiana al di sotto della media Ue

Secondo l’OCSE, l’Italia ottiene risultati sanitari di alto livello con una spesa pro capite inferiore alla media dei Paesi sviluppati, ma la percezione dei cittadini resta penalizzata da liste d’attesa e personale insufficiente.
A cura di Francesca Moriero
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L'Italia occupa da anni una posizione complessa, e a tratti contraddittoria, nel panorama della sanità mondiale. Da un lato, i numeri raccontano un Paese in salute: secondo l'ultimo rapporto Health at a Glance 2025 dell'Ocse, che analizza i sistemi sanitari di 38 Paesi industrializzati, l'aspettativa di vita media raggiunge gli 83,5 anni, oltre due anni in più rispetto alla media dei Paesi sviluppati. Anche la mortalità evitabile, cioè i decessi che potrebbero essere prevenuti con cure adeguate o stili di vita sani, si ferma a 93 casi ogni 100mila abitanti, ben al di sotto della media Ocse di 145.

Sono risultati straordinari, che sembrano raccontare un sistema efficiente e capace di proteggere la popolazione. Chi ogni giorno entra in un ospedale o attende una visita specialistica percepisce però un'altra realtà: reparti affollati, liste d'attesa interminabili, personale sotto pressione. Una contraddizione evidente tra le statistiche e l'esperienza quotidiana, che affonda le sue radici nella struttura stessa del sistema e nelle risorse, sempre più scarse, che lo alimentano.

Longevità e salute: merito non solo del sistema sanitario

La salute degli italiani non dipende soltanto dai servizi pubblici: stili di vita, alimentazione mediterranea e abitudini consolidate giocano un ruolo determinante. L'Italia, ad esempio, registra un tasso di obesità del 12%, tra i più bassi dell'area Ocse (media 19%), un fattore che contribuisce in modo decisivo alla riduzione della mortalità evitabile. In altre parole, gli italiani vivono a lungo non solo grazie alle cure, ma anche a una cultura diffusa della prevenzione informale, fatta di dieta equilibrata, camminate e socialità, un capitale invisibile che sostiene la salute pubblica almeno quanto le strutture sanitarie. Dietro questi dati incoraggianti si nasconde però una verità meno rassicurante: la tenuta del Servizio sanitario nazionale si regge su un equilibrio fragile, minacciato da anni di sottofinanziamento e carenza di personale.

Spesa sanitaria: risultati alti, risorse sempre basse

L'Italia spende 5.164 dollari pro capite per la sanità, contro una media Ocse di 5.967. In rapporto al Pil, l'investimento è pari all'8,4%, quindi quasi un punto in meno rispetto alla media internazionale (9,3%) e ben sotto Paesi come la Francia (9,7%) o la Germania (10,6%).

La spesa pubblica, che copre la maggior parte dei costi, rappresenta solo il 6,3% del Pil; numeri che spiegano perché, pur con risultati complessivamente buoni, il sistema appaia spesso in affanno. Meno risorse significano strutture più affollate, tempi più lunghi, meno personale. Un'efficienza straordinaria, insomma, ma ottenuta al prezzo di un crescente logoramento.

Personale e infrastrutture

Le risorse limitate si riflettono poi in modo diretto sulla forza lavoro sanitaria; in Italia ci sono 6,9 infermieri ogni mille abitanti, contro i 9,2 della media Ocse, con punte che in alcuni Paesi arrivano fino a 19. I posti letto ospedalieri sono 3 ogni mille abitanti, rispetto ai 4,2 medi. La presenza dei medici è più alta (5,4 ogni mille, contro 3,9 Ocse), ma il dato è ingannevole: oltre un terzo dei professionisti ha più di 55 anni, e il ricambio generazionale procede a rilento.

L'unica categoria in controtendenza è quella dei farmacisti: 140 per 100mila abitanti, contro gli 86 medi Ocse. Una rete capillare che resta uno dei pochi presìdi di prossimità rimasti, fondamentale per la distribuzione dei farmaci e l'orientamento dei pazienti.

Farmaci generici: un'occasione mancata

Un'altra area in cui l'Italia resta indietro è quella dei farmaci generici, che rappresentano solo il 28% del mercato, contro il 56% della media Ocse; un loro uso più esteso permetterebbe di ridurre significativamente la spesa pubblica e quella a carico dei cittadini, liberando risorse per potenziare i servizi e migliorare l'accesso alle terapie; è uno dei paradossi italiani: un sistema che riesce a garantire cure di qualità, ma non sempre nel modo più razionale ed economico.

La percezione dei cittadini

I dati macroeconomici, da soli, non bastano a misurare la salute di un sistema; solo il 44% degli italiani si dichiara soddisfatto della qualità dell’assistenza sanitaria, contro il 64% della media Ocse. Un dato che racchiude la distanza tra l'efficienza "statistica" del sistema e la sua esperienza quotidiana: la fatica delle liste d'attesa, la difficoltà di trovare un medico di base, la sensazione diffusa di essere soli davanti a un apparato burocratico più che a una rete di cura.

Insomma, l'Italia continua a ottenere risultati sanitari migliori di molti Paesi più ricchi, ma lo fa con risorse più basse e con un personale sempre più stremato. È un sistema che resiste, ma non regge. Dietro i numeri positivi si muove una macchina che ha bisogno di manutenzione profonda, di investimenti strutturali e di una visione politica che torni a considerare la salute non come una voce di spesa, ma come una forma di giustizia sociale.

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