Perché le pensioni saranno più basse se il governo Meloni blocca l’aumento dell’età pensionabile

La speranza di vita è aumentata, e per questo dal 2027 si dovrebbe andare in pensione più tardi di tre mesi, ma il governo Meloni è intenzionato a fermare l'aumento dell'età pensionabile. Per farlo deve intervenire entro la fine di quest'anno, con un decreto ad hoc che blocchi l'adeguamento. Il problema è che, se si cancella l'incremento dell'età pensionabile, in futuro i nuovi pensionati si ritroveranno con un assegno decisamente più basso, mentre i costi per lo Stato aumenteranno tantissimo. A spiegare il perché è stata la Ragioneria generale dello Stato, nell'ultima edizione del rapporto sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico.
Perché l'età pensionabile deve salire e cosa ha detto il governo
Il dibattito politico è aperto da mesi, ovvero da quando le prime stime dell'Istat hanno chiarito che in Italia la speranza di vita è migliorata. La notizia è buona, ma ha delle conseguenze sgradite sulle pensioni: con l'attuale sistema pensionistico, se le persone in media vivono di più, allora si alzano i requisiti (età e di anni di contributi versati) necessari per lasciare il lavoro.
Oggi si può andare in pensione di vecchiaia a 67 anni di età, oppure in pensione di anzianità o ‘anticipata' con 42 anni e 10 mesi di contributi versati (un anno in meno per le donne). Da inizio 2027 dovrebbe scattare uno aumento di tre mesi: 67 anni e tre mesi per la vecchiaia, 43 anni e un mese per l'anticipata (sempre un anno in meno per le donne). Un altro scalino da due mesi arriverebbe nel 2029. Secondo le attuali previsioni dell'Istat sulla speranza di vita, nel 2037 bisognerà aspettare i 68 anni di età, mentre dal 2067 per andare in pensione bisognerà aver compiuto 70 anni.
Naturalmente, mandare la gente in pensione più tardi è impopolare. E così il governo Meloni si è affrettato a chiarire che ha tutta l'intenzione di bloccare questo aumento. D'altra parte, è nei poteri del ministero dell'Economia farlo. Basta varare un provvedimento prima della fine di quest'anno.
Quanto ci costerebbe cancellare gli aumenti dei requisiti per la pensione
Qui però spuntano i problemi sottolineati dalla Ragioneria dello Stato. Il primo è quello dei costi, in una situazione in cui i conti pubblici sono precari, e il governo si è già impegnato ad aumentare parecchio le spese militari nei prossimi anni. Bloccare l'adeguamento dell'età pensionabile alla speranza di vita, e rinviarlo per un paio d'anni per togliersi il problema fino alle prossime elezioni, potrebbe costare tra 300 milioni e un miliardo di euro.
I tecnici della Rgs hanno fatto un'ipotesi più avanzata, però: mettiamo che il governo decida di cancellare del tutto questo adeguamento, anche per il futuro. Cosa succederebbe? Da qui al 2045, il rapporto tra Pil e debito pubblico aumenterebbe di circa 15 punti di Pil, ovvero più di 300 miliardi di euro. E, se si continuasse su questa strada, l'aumento raddoppierebbe entro il 2070.
Perché i pensionati avrebbero un assegno più basso
Al di là delle preoccupazioni per i bilanci pubblici, c'è l'effetto che la cancellazione avrebbe sui lavoratori. Per spiegarlo bisogna tenere a mente che alla base delle pensioni contributive in Italia ci sono due meccanismi. Il primo è la speranza di vita: tanto più questa si alza, tanto più tardi si va in pensione.
L'altro meccanismo è il cosiddetto coefficiente di trasformazione. Questo serve a calcolare come distribuire i contributi accumulati negli anni di pensione, e funziona al contrario della speranza di vita: tanto prima si va in pensione, tanto più basso sarà l'assegno. Il ragionamento è: se vivi più a lungo, ti servirà la pensione per più tempo; quindi, a parità di contributi versati, riceverai un assegno ridotto, ma più a lungo.
Ad esempio, prendiamo un lavoratore che ha messo da parte 200mila euro di contributi negli anni, e poniamo caso che la speranza di vita media sia di 85 anni. Se lascia il lavoro quando ne ha 65, allora l'Inps calcola che quei 200mila euro accumulati dovranno essere distribuiti nell'arco di vent'anni, e stabilisce l'importo dell'assegno di conseguenza. Se invece va in pensione a 70 anni, allora quegli stessi contributi vanno divisi in ‘soli' quindici anni. Dunque, l'importo sale. Il principio è essere certi che i soldi versati contributi siano sufficienti, in media, per pagare la pensione dovuta.
Ricapitolando, i due meccanismi si compensano a vicenda. Da una parte, il coefficiente di trasformazione fa sì che se le persone passano più anni in pensione (perché vivono più a lungo, in media) la loro pensione sia più bassa. Dall'altra, proprio per questo, l'età pensionabile aumenta se sale la speranza di vita: questo obbliga a lasciare il lavoro più tardi, ma fa sì che l'assegno non si abbassi troppo.
Quanti soldi perderebbero i nuovi pensionati
Se il governo decidesse di bloccare l'aumento dell'età pensionabile, in media i lavoratori si troverebbero a passare molto più tempo in pensione, perché la speranza di vita continuerebbe comunque ad aumentare. Perciò, le casse pubbliche dovrebbero spendere molto di più per i pensionati, e allo stesso tempo gli assegni per chi lascia il lavoro sarebbero più bassi.
Se il governo Meloni decidesse di far scattare solo il prossimo aumento (portando l'età pensionabile a 67 anni e 3 mesi per la vecchiaia e 43 anni e un mese di contributi per l'anzianità), e poi cancellasse del tutto il meccanismo dell'adeguamento, il prezzo pagato dai lavoratori e le lavoratrici nel lungo periodo sarebbe alto. Nel 2070, quando saranno vicini alla pensione molti dei giovani che oggi entrano nel mondo del lavoro, l'assegno pensionistico sarebbe pari a circa la metà degli ultimi stipendi incassati prima di lasciare il lavoro (per i dipendenti, perché per gli autonomi varrebbe anche meno, circa il 40%). Senza interventi del governo, invece, sarebbe quasi il 60% per i dipendenti e circa il 47% per gli autonomi.
Naturalmente è una previsione estrema, perché il centrodestra non ha detto che vuole cancellare del tutto l'adeguamento all'età pensionabile. Ma il calcolo mostra bene quanto sia complicato ‘smantellare la legge Fornero' e cambiare del tutto il sistema pensionistico, come il governo (e soprattutto la Lega) avevano promesso di fare. E che bloccare l'aumento dei requisiti per la pensione, anche se è una mossa popolare, alla lunga potrebbe finire per penalizzare ai lavoratori.