Per i malati di Alzheimer lo Stato deve pagare la retta della RSA: la svolta in una sentenza

Il Servizio sanitario nazionale deve farsi carico anche delle prestazioni socio-assistenziali, per i pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, perché queste sono del tutto collegate alle prestazioni sanitarie ‘vere e proprie'. Dunque, in sostanza, la sanità pubblica deve occuparsi anche di pagare la retta a chi è malato di Alzheimer e si trova in una Rsa. Perché, in sostanza, in una situazione simile non si può distinguere cosa sia una prestazione medica in senso stretto e cosa sia assistenza. Lo ha stabilito la Corte d'appello di Milano, facendo seguito a una sentenza della Cassazione che era arrivata a febbraio.
Il Tribunale milanese si occupava del caso di Marco Gaito, che dal 2018 si opponeva al pagamento di 26mila euro di retta addebitati alla madre, residente in una Rsa e affetta da Alzheimer. La decisione finale è stata di annullare quel contratto di assistenza, e quindi il pagamento. Infatti, la legge 730 del 1983 (la legge di bilancio per il 1984, che ha stabilito diverse norme sul sistema sanitario) all'articolo 30 indica che "sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali". Un Dpcm del 2001 ha poi specificato che le "prestazioni sociali a rilevanza sanitaria" devono essere gratuite.
Il punto della norma, per come l'ha interpretata la Corte d'appello di Milano, è che tutta l'assistenza che viene fornita in una Rsa a chi è malato di Alzheimer è, di fatto, assistenza sanitaria. Non si possono separare le prestazioni che sono ‘solo' assistenziali e farle pagare, come invece è possibile fare nel caso di altre patologie. Nel 2023, in realtà, un'altra sentenza della Cassazione aveva stabilito che fosse necessario valutare le specifiche condizioni del paziente: solo se c'è "un trattamento sanitario strettamente correlato all’assistenza, finalizzato a rallentare l’evoluzione della malattia e a limitare la sua degenerazione, specialmente nei casi più avanzati, che possono comportare comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per terzi".
Sempre la Cassazione, a inizio febbraio, si era però espressa sul caso di Gaito. Inizialmente infatti sia il Tribunale, sia la Corte d'appello milanese avevano dato torto all'uomo. Poi la Cassazione aveva annullato la sentenza e imposto un appello bis.
Il problema, per casi simili, è che bisogna continuamente fare ricorso ai tribunali – fino alla Cassazione, come visto – perché non esiste una normativa unica sul tema. Non potendo fare ricorso a leggi e direttive chiari sul caso di pazienti affetti da morbo di Alzheimer, per far valere i propri diritti i cittadini devono rivolgersi alla giustizia. E, come avvenuto nel caso di Gaito, talvolta aspettare anni prima di arrivare a una risposta definitiva.