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Migranti e Ong: si scrive Lamorgese, si legge Salvini e Minniti

Il primo incontro tra il ministro dell’interno e le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo centrale doveva essere l’inizio di un nuovo percorso sul versante della gestione delle politiche migratorie. In realtà, non è cambiato nulla: dal codice Minniti al decreto sicurezza bis, sino al memorandum con la Libia, non c’è politica che non sia rimasta immutata. Uno schiaffo alla discontinuità, e a chi ci sperava.
A cura di Vitalba Azzollini
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In tema di immigrazione, così come in altri ambiti, stenta a vedersi la “discontinuità” con il passato che avrebbe dovuto rappresentare la cifra di questo esecutivo. Il Memorandum con la Libia si è rinnovato, sia pure con la richiesta informale da parte dell’Italia di generici miglioramenti. Del resto, in occasione del vertice di Malta del settembre scorso, il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, aveva lasciato intendere che cosi sarebbe andata: «gli accordi con la Libia li teniamo in piedi, la guardia costiera libica sta facendo un buon lavoro».

Eppure era sembrato che qualcosa potesse cambiare quando Lamorgese, in un’intervista del 12 ottobre scorso, aveva annunciato che avrebbe incontrato «i rappresentanti delle ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare dei migranti». Ma, quando il ministro aveva aggiunto che il punto di partenza del confronto sarebbe stato il «codice di condotta già sottoscritto al Viminale» (cosiddetto Codice Minniti, 2017), era apparso evidente che non vi sarebbe stato alcun cambio di passo. Infatti, il Codice Minniti, pur non avendo efficacia cogente, presenta gli stessi “vizi” del decreto Sicurezza bis (convertito in legge nell’agosto scorso): alcune sue disposizioni, da un lato, sembrano andare contro gli obblighi internazionali in materia di salvataggio (ad esempio, l’impegno delle ONG a «non entrare nelle acque territoriali libiche» comprime illegalmente il diritto di passaggio inoffensivo di cui godono tutte le navi); dall’altro, paiono perseguire il fine di “intimorire” le ONG con riguardo alle attività di ricerca e soccorso. Dunque, ripartire dal Codice Minniti, segna una continuità rispetto al passato.

Il confronto tra il ministro e le ONG si è svolto il 25 ottobre scorso ed è stato definito da un laconico comunicato del Viminale come un «primo passo per l’avvio di una interlocuzione diretta tra le parti». Invece, il più esaustivo comunicato delle organizzazioni umanitarie fa intendere chiaramente che, senza alcune azioni concrete, quel “primo passo” rischia di tradursi in un nulla di fatto. Le ONG auspicano, in particolare, che si focalizzi l’attenzione sugli obblighi derivanti dai «trattati internazionali, evitando pericolosi ritardi, omissioni di intervento e mancanza di comunicazione sulle imbarcazioni in difficoltà», nonché superando il «clima di criminalizzazione dei soccorsi in mare». Quanto chiesto dalle ONG richiederebbe, in primo luogo, l’abolizione della legge Sicurezza bis, che attribuisce al ministro dell’Interno (di concerto con quelli dei Trasporti e della Difesa) il potere di chiudere le acque italiane alle navi che trasportano stranieri irregolari. Tale potere, da un lato, può essere esercitato in violazione delle convenzioni internazionali (tra gli altri, v. ordinanza del Gip di Agrigento sul caso Sea Watch 3), impedendo che azioni di salvataggio si concludano in un “porto sicuro”; dall’altro lato, va nella direzione di una sorta di “criminalizzazione” delle ONG, vietando loro il passaggio nel mare territoriale in base alla presunzione che esse siano colpevoli di traffico di migranti. Ma l’abolizione della legge Sicurezza bis non è contemplata nel programma del governo giallo-rosso. E, fino a quando il potere di chiudere i porti resterà a disposizione del ministro dell’Interno di turno, la “criminalizzazione” dei soccorsi da parte delle ONG non potrà dirsi superata.

La discontinuità rispetto alle politiche precedenti avrebbe soprattutto richiesto di non rinnovare il citato Memorandum con la Libia. In forza di tale Memorandum – sulla cui vincolatività si nutrono dubbi, non essendo stato ratificato dal Parlamento (art. 80 Cost.) – l’Italia concorre a finanziare la guardia costiera libica, che opera costanti violazioni dei diritti fondamentali delle persone intercettate in mare e portate nei campi di detenzione, come attestato da rapporti dell’Onu. La conferma del Memorandum è il segnale inequivocabile dell’assenza di quel cambio di passo da ultimo richiesto dal Tavolo Asilo delle organizzazioni laiche e cattoliche, il 30 ottobre scorso. Né i miglioramenti al Memorandum richiesti dal governo italiano possono risultare credibili, con una controparte priva a propria volta di qualunque credibilità: essa di recente ha confermato Bija – il trafficante di esseri umani di cui all’inchiesta di Nello Scavo – a capo della guardia costiera; tramite quest’ultima commette gravi azioni di intimidazione verso le ONG; con un decreto del 15 settembre scorso ha imposto, tra le altre cose, alle ONG di chiedere il permesso alle autorità di Tripoli prima di salvare naufraghi. E si potrebbe aggiungere molto altro.

Il “primo passo” rappresentato dall’incontro al Viminale tra il ministro e le ONG può forse smentire il fatto che le politiche in tema di immigrazione sono finora rimaste immutate?

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