L’eurodeputata Moretti: “La violenza di genere è un problema degli uomini, la nuova frontiera è quella digitale”

Abbiamo intervistato Alessandra Moretti, eurodeputata del gruppo Socialisti e Democratici, al termine della Gender Equality Week, l'iniziativa del Parlamento europeo dedicata alla parità di genere. Abbiamo parlato di violenza, di femminicidi e di discriminazione online, di educazione e cambiamento da affrontare tutti insieme come società.
Si conclude la Gender Equality Week 2025. A quest'ora, un po' di anni fa, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, le cose sembravano davvero sul punto di cambiare: ma la cronaca oggi è ancora piena di femminicidi e ci stiamo rendendo conto di quanto siano normalizzati i gruppi come Phica o Mia Moglie. La sensazione è che le cose non siano cambiate affatto, anzi: è così anche per lei?
Anche io percepisco il rischio di una regressione sul terreno della parità di genere. Abbiamo promosso gender action plan, per fare un po’ un bilancio delle politiche di genere che l'Unione Europea sta portando avanti da tanti anni, indagando la condizione femminile dei diversi Paesi. L'Italia non è tra i Paesi che hanno fatto più passi in avanti e quello che colpisce sono i numeri: 80 femminicidi da inizio anno, il 60% dei quali avviene in un contesto familiare, quindi da parte di ex mariti, compagni, conoscenti. E poi c'è il grande tema della violenza sessuale, con vittime sempre più giovani e con autori sempre più giovani. Questo ci fa comprendere come il fenomeno della violenza di genere sia un fenomeno strutturato alla nostra società e che richiede quindi un'azione molto più determinata ed efficace.
Parlando di giovani: spesso le professioniste che lavorano nelle scuole ci raccontano di come i ragazzi si sentano minacciati dal cambiamento, si sentono colpevolizzati e reagiscono in modo aggressivo. Noi ci stiamo limitando a dire loro di abbandonare i modelli maschili predominanti fino ad oggi, ma non ne stiamo fornendo di alternativi. Dobbiamo coinvolgere in modo diverso gli uomini?
Il fenomeno della violenza contro le donne è un problema legato agli uomini, è un problema degli uomini e noi ne siamo vittime. Ed è un problema legato alla cultura. C'è un'emancipazione forte da parte delle ragazze e una loro maggiore consapevolezza, una volontà di esprimere la propria libertà di autodeterminarsi: in un contesto ancora molto patriarcale questa libertà è mal digerita anche dai più giovani ed è per questo che vanno coinvolti gli uomini. Vanno coinvolti i giovani attraverso percorsi di educazione affettiva, relazionale, sessuale che deve essere fatta all'interno del contesto più frequentato dai ragazzi che per fortuna la scuola.
Sull'educazione sessuale ed affettiva a scuola c'è una gigantesca polemica politica. E c'è la sensazione che finché ci sarà battaglia ideologica su questo fronte, non andremo mai a risolvere il problema alla radice e continueremo a privarci dello strumento più importante – l'educazione – nella lotta contro la violenza di genere…
Proprio così. Sul corpo delle donne spesso le battaglie sono ideologiche e quando la battaglia è ideologica non porta mai a nessun tipo di azione concreta. Prima citavamo Giulia Cecchettin, la Fondazione Giulia Cecchettin che punta proprio ad entrare nelle scuole con percorsi educativi. Ecco, io mi chiedo perché i governi di tutti i colori politici non capiscono che l'unico modo, nel lungo periodo, non introducono davvero nelle scuole l'obbligatorietà di frequentare corsi tenuti da persone competenti, a seconda anche dell'età dei ragazzi, in cui noi non soltanto educhiamo al rispetto: educhiamo anche all'accettazione da parte degli uomini del no. Il no non è una sconfitta, ma è una ripartenza, è un motivo di autoanalisi, di riflessione. Educhiamo anche le ragazze ad essere più consapevoli sul riconoscere i segnali che possono essere dei primi campanelli d'allarme di forme di patologia relazionale. Per esempio, se il tuo fidanzato ti geolocalizza sul cellulare, quello non è una manifestazione d'amore. La gelosia non è una manifestazione d'amore, così come non lo è se il tuo ragazzo che ti chiede di non uscire con le tue amiche o di non andare in giro vestita in un certo modo. Quindi dobbiamo educare entrambe le parti ad affrontare il tema della violenza di genere come un tema legato alla salute mentale, alla salute sessuale: se non lo facciamo noi ragazzi si educheranno da soli attraverso “youporn”, attraverso quelle piattaforme dove le donne vengono brutalizzate, violentate, molestate. Quello diventerà per loro il modo normale di relazionarsi. Invece non è così.
A proposito di piattaforme. Negli ultimi mesi ci siamo resi conto che c'è un gigantesco problema di violenza di genere on line. Abbiamo denunciato i gruppi Facebook e Telegram, con migliaia di uomini che commentavano in modo molto violento immagini di donne, i siti per spogliare le donne con intelligenza artificiale, e così via. Cosa si può fare da questo punto di vista? Cosa l'Europa anche può fare?
La violenza digitale è la nuova frontiera del sessismo. Queste piattaforme sono la punta di un iceberg: ci sono milioni di uomini che le frequentano e scatenano sotto queste foto i peggiori commenti, alcuni che addirittura incitano allo stupro di gruppo. Anche li, serve l'educazione a scuola per educare a come usare gli strumenti digitali. Spesso i ragazzi non sanno nemmeno che stanno commettendo, perché alcuni comportamenti sono talmente normalizzati. Parallelamente alla battaglia culturale ne va fatta una contro chi favorisce la nascita di queste piattaforme, contro i gestori di queste piattaforme che tra l'altro speculano, guadagnano e ricattano L'Europa cosa può fare? L'Europa può normare questo tipo di utilizzo delle piattaforme: il gestore di una piattaforma deve essere considerato al pari di un editore e come l'editore paga quando il suo giornalista scrive un articolo non vero, altrettanto devono fare i gestori se ci sono comportamenti illeciti sulle piattaforme. Bisogna riconoscere che esiste la violenza digitale e che ad essere colpite siamo tutte, nessuna esclusa.
C'è uno studio molto recente, per esempio, che dice che le donne che vorrebbero avvicinarsi alla politica spesso rinunciano a causa dei commenti che ricevono sul web. Perché ogni volta in cui una donna si espone e ci mette la faccia viene ricoperta di insulti sessisti e questo ovviamente demolisce la volontà di intraprendere delle carriere anche politiche. Ma c'è una necessità straordinaria di donne in politica: noi qui al Parlamento europeo siamo solo al 38.5%. Abbiamo fatto dei passi in avanti, ma rimane comunque in gigantesco gap quando si parla della presenza femminile nelle istituzioni: è un gap che va colmato perché la nostra presenza non è soltanto una questione di equità e di giustizia, ma è una questione legata anche alla produttività di un Paese. È una questione legata anche all'economia e al PIL: la partecipazione delle donne al mondo del lavoro aumenta i PIL dei Paesi, ma in Italia abbiamo un'occupazione femminile rispetto al resto d'Europa che è bassissima.
Il gap nell'occupazione non è l'unico: c'è appunto quello nella rappresentanza politica, c'è quello salariale. Facendo un confronto tra Italia ed Europa secondo lei qual è l'aspetto dove è più urgente intervenire?
Io penso che un elemento fondamentale per combattere la violenza di genere sia rendere autonome e indipendenti economicamente le donne. Perché una donna che ha un salario è libera anche di scappare da una situazione violenta. Una donna invece che non ce l'ha e non gode di questa indipendenza, è una donna schiava, è una donna che è costretta a stare lì. Ragion per cui le denunce sono sempre la punta di un iceberg, perché ci sono tanti fattori che impediscono alle donne di denunciare e il fattore economico è uno di questi. Noi dobbiamo mettere in campo tante azioni: ovviamente quella del lavoro è fondamentale, così come è fondamentale quella dei servizi. Dobbiamo consentire cioè alle donne di non dover scegliere tra carriera e vita affettiva. Le donne devono essere libere di avere dei figli e devono essere libere di poter progredire nella propria carriera. Mentre i dati che arrivano non solo dal nostro continente, ma anche per esempio dagli Stati Uniti, ci dicono che sempre più donne dopo il secondo figlio abbandonano la carriera: questo atteggiamento che ci vuole dedicate ai figli, che ci vuole in cucina, è un atteggiamento patriarcale maschilist, che ci vorrebbe far ritornare al Medioevo. È chiaro che noi lo dobbiamo sconfiggere con le politiche e le politiche a favore delle donne sono delle politiche davvero di tutti, perché se una donna in una società sta bene, anche tutti gli altri staranno meglio.