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La Camera dice no al processo per diffamazione per Meloni, Donzelli e Delmastro: di cosa erano accusati

La Camera ha votato per dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse da Meloni, Donzelli e Delmastro, bloccando tre procedimenti per diffamazione. Ma mentre per la premier e Donzelli l’Aula ha votato all’unanimità, sul caso Delmastro l’opposizione si è spaccata: al centro del dibattito, il limite tra libertà di espressione politica e l’abuso del potere parlamentare.
A cura di Francesca Moriero
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Con tre votazioni nell'Aula di Montecitorio, la Camera dei deputati ha stabilito che le opinioni espresse da Giorgia Meloni, Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro Delle Vedove sono insindacabili ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione, e dunque non possono essere perseguite in sede penale. È un passaggio delicato, che tocca direttamente l’equilibrio tra tutela della libertà parlamentare e possibili abusi del potere politico, e che ha visto maggioranza e opposizione dividersi nel caso più controverso, quello di Delmastro. Le decisioni dell’Aula si basano sulle relazioni della Giunta per le autorizzazioni, organo della Camera incaricato di valutare se un parlamentare possa essere perseguito per fatti connessi alla sua attività politica.

Il caso Meloni: il tweet contro Pignalberi e il diritto a difendere l'immagine del partito

Il primo caso riguarda Giorgia Meloni, oggi presidente del Consiglio ma all’epoca dei fatti deputata e leader di Fratelli d’Italia. Tutto nasce da un’inchiesta giornalistica de Le Iene, andata in onda nel 2021, che riguardava Fabrizio Pignalberi, fondatore del partito sovranista “Più Italia” e già alleato locale di FdI; il servizio raccontava presunte truffe compiute da Pignalberi, tra cui l’esercizio abusivo della professione forense e l’intestazione fittizia di beni. Pochi giorni dopo la messa in onda, Meloni pubblicò un tweet in cui prendeva le distanze dall’ex alleato. Scrisse che "Pignalberi non aveva più nulla a che fare con FdI da anni" e che, qualora le accuse fossero risultate fondate, il partito si sarebbe costituito parte civile nel processo.
Pignalberi querelò Meloni per diffamazione, sostenendo che quelle dichiarazioni avevano leso la sua reputazione. Il Tribunale di Roma avviò quindi un procedimento penale e trasmise gli atti alla Camera per verificare se la dichiarazione della deputata fosse da considerarsi "insindacabile".

La Giunta per le autorizzazioni, già nella scorsa legislatura, aveva votato all’unanimità per riconoscere l’insindacabilità del tweet, ma a causa dello scioglimento delle Camere non si era mai arrivati al voto dell’Aula; così, a gennaio 2025, la nuova Giunta ha confermato all’unanimità la sua posizione: secondo i deputati, Meloni non aveva espresso un'opinione privata, ma una posizione politica finalizzata a tutelare l'immagine e la credibilità del proprio partito, soprattutto alla luce del passato legame con Pignalberi. L'Aula, nella giornata di oggi, ha confermato la valutazione della Giunta con 277 voti favorevoli e nessun contrario. Di fatto, è stato stabilito che Meloni non potrà essere processata per diffamazione, perché la sua dichiarazione è stata considerata una legittima espressione del ruolo politico.

A rafforzare indirettamente questa conclusione, anche l'esito del processo a carico dello stesso Pignalberi: nel luglio 2023 è infatti stato condannato a otto mesi di reclusione per truffa ed esercizio abusivo della professione, e a una multa da 11mila euro.

Il caso Donzelli: il giudizio su Panzironi come legittima critica politica

Il secondo caso coinvolge Giovanni Donzelli, anche lui deputato di Fratelli d’Italia e oggi responsabile organizzazione del partito; i fatti risalgono al 2019, quando Donzelli rilasciò un’intervista in cui criticava duramente Adriano Panzironi, noto al pubblico per aver promosso una dieta controversa e uno stile di vita alternativo alla medicina tradizionale. Panzironi era già stato al centro di diverse inchieste giornalistiche e procedimenti giudiziari legati alla pubblicità ingannevole e alla violazione delle regole sanitarie. In quell'intervista, Donzelli definì l'operato di Panzironi pericoloso per la salute pubblica.
Così, Panzironi, reagì querelando il parlamentare per diffamazione, e anche in questo caso, il Tribunale trasmise gli atti alla Camera per verificare se le dichiarazioni fossero protette dalla prerogativa parlamentare. La Giunta per le autorizzazioni ha però valutato che le parole di Donzelli rientrassero pienamente nella sua funzione istituzionale: un parlamentare, è stato il ragionamento, ha il diritto e il dovere di esprimersi su temi di interesse pubblico come la salute e la sicurezza dei cittadini, anche criticando comportamenti che ritiene dannosi o fuorvianti.

L’Aula, sempre nella giornata di oggi, ha votato all’unanimità: 281 voti favorevoli, nessun contrario. Anche per Donzelli, quindi, non ci sarà alcun processo.

Il caso Delmastro: l'unico voto spaccato sull’attacco al procuratore delle Corte dei Conti

Il caso più discusso è quello di Andrea Delmastro Delle Vedove, deputato di Fratelli d’Italia e oggi sottosegretario alla Giustizia. I fatti risalgono al 2021, quando Delmastro pubblicò un video su Facebook per attaccare Quirino Lorelli, all’epoca procuratore regionale della Corte dei Conti per il Piemonte. Il magistrato aveva aperto un'istruttoria contabile sull’acquisto, da parte della Regione, di un libro sulle Foibe da distribuire nelle scuole per il Giorno del Ricordo. Delmastro lo accusò pubblicamente di voler "riscrivere la storia" e di ostacolare la memoria delle vittime; Lorelli reagì con una querela per diffamazione aggravata, ritenendo che l’attacco personale, amplificato dai media, avesse leso la sua reputazione e messo in discussione la sua indipendenza. Il reato ipotizzato è diffamazione a mezzo stampa, con l’aggravante di aver colpito un'autorità giudiziaria. La Giunta per le autorizzazioni ha votato a favore dell’insindacabilità, ritenendo che Delmastro stesse intervenendo su una questione politicamente rilevante legata a una commemorazione ufficiale dello Stato. Ma in Aula, a differenza dei casi precedenti, il voto è stato molto più combattuto: 182 sì, 98 no. Gran parte dell’opposizione ha votato contro, accusando Delmastro di aver usato la sua posizione politica per intimidire un magistrato.

Marco Grimaldi (Alleanza Verdi e Sinistra) ha dichiarato: "Il potere non può diventare strumento di intimidazione. Qui non ci sono opinioni, ma attacchi". Anche il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico hanno espresso voto contrario. Carla Giuliano (M5S) ha parlato pii  di un "voto convintamente contrario", mentre Antonietta Forattini (PD) ha detto che "quelle non erano opinioni, ma insulti".

Diversa la posizione del deputato di Azione Ettore Rosato, che pur criticando il contenuto delle dichiarazioni, ha votato a favore: "Non condivido il merito delle affermazioni di Delmastro", ha detto, "ma secondo noi rientrano nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari".

Una questione aperta

I tre casi riportano insomma al centro del dibattito il senso dell'articolo 68 della Costituzione, che garantisce ai parlamentari l’insindacabilità per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. Lo scopo è proteggere la libertà del mandato parlamentare, ma in casi come quello di Delmastro, la questione si fa più sfumata: dove finisce l’attività politica e dove comincia l’abuso di potere? Il voto della Camera non stabilisce la verità giudiziaria, ma blocca i procedimenti penali e conferma un principio forte: la parola del parlamentare è protetta, se legata alla funzione istituzionale. Ma proprio per questo, secondo l’opposizione, è ancora più importante non usare quella parola per colpire chi esercita altre funzioni dello Stato, come un magistrato.

In tempi di tensione tra poteri e di crescente personalizzazione del dibattito politico, il confine tra libertà di espressione e intimidazione resta una questione aperta. E il voto della Camera, soprattutto su Delmastro, dimostra che non tutto è scontato, nemmeno tra i banchi della maggioranza.

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