video suggerito
video suggerito

Il tetto ai risarcimenti per i licenziamenti ingiusti è incostituzionale: era uno dei quesiti referendari

La Corte costituzionale ha deciso che è illegittimo il limite massimo di sei mesi per l’indennizzo rivolto a chi subisce un licenziamento ingiusto in una piccola azienda. A giugno gli italiani avevano votato al referendum per cancellare questo stesso tetto, ma il quorum non era arrivato.
A cura di Luca Pons
1 CONDIVISIONI
Immagine

La Corte costituzionale ha stabilito che è illegittimo mettere un limite al risarcimento che spetta a un dipendente di una piccola azienda licenziato ingiustamente. Cancellando, così, una delle norme che erano state oggetto di referendum poche settimane fa. Se un lavoratore in un'azienda con meno di 16 dipendenti viene licenziato ingiustamente, poi può ricevere un indennizzo pari al massimo a sei mesi del suo stipendio. Ma questo tetto è incostituzionale, ha deciso oggi la Consulta con la sentenza 118 del 2025. La norma risaliva al Jobs act del 2015 (e ancora prima a una legge del 1966, ma la Corte si è espressa specificamente sull'articolo 9 del Jobs act).

La sentenza sui licenziamenti illegittimi

Il problema secondo i giudici è che non si può fissare un tetto massimo che vale sempre, a prescindere da quanto è grave un licenziamento illegittimo. Peraltro, visto che in alcuni casi si prevede – sempre nel Jobs act – che l'indennizzo venga dimezzato, la Corte ha affermato che il giudice che deve decidere il rimborso ha pochissimo margine di manovra. Ma così è impossibile fare in modo che l'importo del risarcimento sia adatto alla situazione personale del lavoratore licenziato e del danno che ha subito. E tanto più la sanzione non può fare da deterrente per le aziende: se un datore di lavoro pensa che se la caverà pagando un'indennità molto bassa, è più facile che licenzi un dipendente in modo illegittimo.

La logica alla base della legge era, al contrario, che se un'azienda è piccola non ha i mezzi economici per pagare più di sei mensilità come risarcimento. Ma la Consulta ha sottolineato che nelle leggi europee e anche in quelle italiane – ad esempio sulle crisi d'impresa – il numero di dipendenti non è l'unico criterio che si usa per valutare la "forza economica" dell'azienda. Quindi non ha senso che lo sia nel caso dei licenziamenti. Non a caso, comunicando la sentenza la Corte ha anche detto che auspica che ci sia "un intervento legislativo sul tema dei licenziamenti di dipendenti" nelle piccole imprese.

Landini: "È la richiesta che facevamo con il referendum"

Il risultato, con la sentenza che dichiara parzialmente incostituzionale il testo del Jobs act, è un successo per chi aveva proposto i referendum sul lavoro, ovvero la Cgil. Il sindacato, infatti, aveva fatto campagna anche sul tetto all'indennizzo per i licenziamenti ingiusti in una piccola impresa, anche se sulla scheda del referendum la proposta era di cancellare la norma del 1966 che per prima aveva fissato il limite di sei mesi.

Nella sostanza, la questione era la stessa su cui si sono espressi oggi i giudici costituzionali. Ma l'8 e 9 giugno il referendum era fallito: nessuno dei quesiti aveva superato il quorum necessario per essere valido, e così le leggi non erano cambiate.

Ora, invece, è la stessa Corte che chiede al Parlamento di intervenire e cambiare le norme. La proposta dei sindacati era di fare in modo che, nel caso di licenziamenti illegittimi, i giudici non avessero un limite massimo a cui attenersi, ma potessero decidere l'indennizzo più giusto in base a vari criteri. "La Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionale mantenere il tetto, esattamente la richiesta che facevamo noi con il referendum", ha commentato il segretario della Cgil Maurizio Landini. "Questo pone la necessità di rimettere al centro della discussione sociale e politica di questo Paese il lavoro, la condizione di vita di lavoro delle persone e i giovani".

1 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views