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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Gaza, Onu: “Piano di Netanyahu mette a rischio la sopravvivenza, crisi umanitaria che il mondo continua a guardare”

Una scuola colpita da un raid, sfollati uccisi, fame usata come arma e ostaggi ancora prigionieri: la Striscia di Gaza precipita in una crisi che si aggrava ogni giorno. Crescono gli appelli internazionali per il cessate il fuoco, ma le bombe continuano a cadere. Per l’Onu la sopravvivenza dei palestinesi è dunque a rischio, mentre l’Anp dichiara la Striscia zona di carestia.
A cura di Francesca Moriero
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La Striscia di Gaza è oggi il cuore pulsante di una crisi umanitaria che, secondo le Nazioni Unite, come già detto in passato, si sta trasformando in qualcosa di ancora più preciso: un genocidio. Mentre proseguono i bombardamenti, la popolazione civile è ancora stretta in una morsa fatta di fame, sfollamenti di massa e assedio totale. L'ultimo attacco israeliano ha colpito una scuola nella zona orientale di Gaza City, trasformata in rifugio per famiglie in fuga: almeno 19 i morti, tra cui diversi bambini. È solo uno degli ultimi episodi di una violenza quotidiana che sembra svuotare di senso ogni discorso sulla sicurezza o sugli accordi di pace. Nel frattempo, mentre da un lato il presidente israeliano Benjamin Netanyahu parla di un nuovo piano di occupazione totale, si moltiplicano le riunioni diplomatiche, si discutono nuovi meccanismi per la distribuzione degli aiuti, si negoziano accordi sugli ostaggi, dall'altro la vita quotidiana dei palestinesi resta inchiodata alla sopravvivenza. Gli ospedali non funzionano più, l'acqua potabile è quasi introvabile, l'energia elettrica è ormai un ricordo lontano. A questo si aggiunge che i magazzini delle agenzie umanitarie sono stati interamente saccheggiati, gli aiuti umanitari non entrano più da mesi e le famiglie riescono quindi a nutrirsi a malapena una volta ogni due giorni. La fame, dunque, non è ora più un rischio ma una realtà diffusa, visibile e implacabile.

L'Autorità Nazionale Palestinese ha ora formalmente dichiarato Gaza "zona di carestia", una definizione che molte agenzie internazionali avevano già anticipato nei loro report sul campo. E mentre la popolazione si consuma, l'ONU lancia l'allarme più grave dall’inizio del conflitto: in una dichiarazione diffusa da Ginevra, l'Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk ha denunciato infatti apertamente che i piani israeliani per lo spostamento forzato dei civili palestinesi da nord a sud della Striscia, e da lì potenzialmente oltre il confine con l'Egitto, "aggravano ulteriormente il sospetto che le azioni di Israele siano orientate a infliggere ai palestinesi condizioni di vita incompatibili con la loro continuata esistenza a Gaza come gruppo". Una frase che assume un valore preciso nel linguaggio del diritto internazionale. "La sopravvivenza dei palestinesi come gruppo è messa a rischio", ha dichiarato poi Türk, accusando Israele di aver creato non solo le condizioni materiali ma anche quelle psicologiche per una espulsione forzata di massa. Una popolazione già decimata dalla guerra, affamata, priva di riparo e assistenza, viene spinta verso il confine egiziano in un processo che sempre più voci definiscono apertamente con il suo nome: pulizia etnica. A rafforzare questa denuncia si sono aggiunti oltre trenta esperti indipendenti delle Nazioni Unite, che in una dichiarazione congiunta chiedono alla comunità internazionale di intervenire per fermare "una politica di annientamento". Non si tratta più, affermano, di una semplice emergenza umanitaria: "Siamo testimoni di crimini che potrebbero configurare un genocidio". Restare spettatori, dunque, "sarebbe una colpa storica".

Bombe su scuole, sfollati tra le macerie

E mentre l'ONU parla di punto di non ritorno, a Gaza si continua a morire. Non nelle retrovie di un conflitto, ma nei luoghi dove si cerca rifugio. Nell'ultima notte, un bombardamento israeliano ha colpito una scuola nell'area orientale di Gaza City, trasformata in centro per sfollati: almeno 19 le vittime, tra cui bambini e donne. I soccorritori della Protezione civile, ancora attiva nonostante la distruzione, hanno recuperato i corpi dalle macerie, mentre decine di feriti affollavano quello che resta degli ospedali. Quella scuola era uno degli ultimi ripari disponibili, ma a Gaza, ormai, nessun luogo è più sicuro. I bombardamenti colpiscono ovunque: prima scuole, mercati, moschee, ora ospedali, strade, tende. Rafah, il confine estremo con l'Egitto, dove si è concentrato oltre un milione e mezzo di sfollati, resta nel mirino. Israele ripete che l'operazione via terra "non è in discussione" e accusa Hamas di nascondere ancora ostaggi nella città. Ma per le agenzie umanitarie, un'azione militare a Rafah sarebbe "catastrofica".

La fame avanza: Gaza dichiarata zona di carestia

A rendere tutto più feroce, c'è la fame. L'Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato ufficialmente Gaza "zona di carestia", accusando Israele di usare la fame come arma di guerra e invocando un intervento urgente delle Nazioni Unite. Non è una formula retorica: secondo i dati dell'ONU e delle ong presenti sul territorio, le scorte alimentari sono esaurite, l'accesso all'acqua potabile è quasi del tutto interrotto e le famiglie sopravvivono solo grazie al saccheggio dei magazzini. Il pane è diventato un bene raro, mentre si moltiplicano i casi di malnutrizione acuta, soprattutto tra i bambini. Le immagini che arrivano mostrano volti scavati, bambini in lacrime, madri che cercano di calmare la fame girando i mestoli su pentole vuote. L'accesso agli aiuti umanitari è bloccato da ottobre scorso, i convogli vengono fermati, selezionati e respinti. Volker Türk parla apertamente di "uso sistematico della fame come strumento bellico" e ammonisce: la carestia non è più una minaccia, è una realtà.

Trattative paralizzate, offensiva imminente

Intanto, i negoziati si trascinano tra accuse incrociate e dichiarazioni inconciliabili: Hamas ha annunciato di voler negoziare solo un accordo globale, che comprenda il cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe israeliane e la fine dell'assedio. Israele, invece, parla di una tregua a fasi, ma intanto rilancia l'offensiva, soprattutto su Rafah. Sul fronte internazionale, gli Stati Uniti continuano a giocare un ruolo ambiguo: dopo il fallimento delle precedenti mediazioni, è stato annunciato il ritorno sulla scena di Donald Trump, il cui nuovo emissario per il Medio Oriente, Steve Witkoff, avrebbe in mente un piano post-bellico: un programma di ricostruzione da affidare a investitori privati, in cambio del disarmo completo di Hamas. Ma in un contesto di morte, assedio e fame, ogni proposta suona distante e astratta.

Le accuse dell'Europa

Dall'Unione Europea arrivano parole dure: le alte rappresentanti Kaja Kallas, Hadja Lahbib e Dubravka Suica hanno definito la chiusura dei valichi a Gaza "la più lunga mai registrata" e ribadito che gli aiuti umanitari "non devono mai essere politicizzati o militarizzati". Bruxelles è preoccupata per il nuovo sistema approvato da Israele per la consegna degli aiuti, che delega la distribuzione a soggetti non umanitari e appaltatori privati, rompendo la catena di fiducia necessaria. La Spagna, intanto, annuncia una nuova risoluzione, proprio all'Onu, per fermare la violenza e facilitare gli aiuti. L'Olanda mette in discussione l'accordo di associazione tra Israele e Ue, sospettando violazioni dei principi fondamentali. Il Regno Unito parla di "situazione intollerabile". Anche la Francia usa parole forti, mentre l'Italia, con il ministro Antonio Tajani, si dice "molto preoccupata per la popolazione civile palestinese" e insiste sulla necessità di far arrivare aiuti direttamente, senza intermediazioni di Hamas.

La repressione interna

Mentre Gaza brucia, anche dentro Israele cresce il clima di repressione. In questi giorni, 58 studenti sono stati arrestati nei campus universitari israeliani, sospesi o espulsi per aver espresso opinioni contrarie alla guerra. Le accuse? "Incitamento all'odio", "solidarietà con i terroristi", persino "apologia di Hamas". In molti casi, si trattava di post su Instagram o frasi pronunciate durante manifestazioni. Il ministro dell'Istruzione israeliano, Yoav Kisch, ha rivendicato la decisione come "un atto di difesa della sicurezza nazionale". Ma per le organizzazioni per i diritti civili, è una nuova prova del clima autoritario che si sta consolidando. I rettori delle università, incalzati dalla destra più radicale, hanno adottato regolamenti che limitano la libertà di espressione, puniscono la dissidenza e zittiscono qualunque voce critica: studenti sospesi per mesi, famiglie minacciate, inchieste lampo. Anche questo è parte della guerra.

Oltre 70 persone sono state arrestate anche alla Columbia University di New York, dopo che circa un centinaio di manifestanti filo palestinesi hanno preso d'assalto e occupato la biblioteca per protestare contro il genocidio a Gaza.

Una comunità internazionale sempre più impotente

Nel frattempo, la comunità internazionale sembra aver esaurito le parole, ma non le incertezze. Le condanne si moltiplicano, ma gli strumenti restano spuntati. Le risoluzioni dell'ONU si fermano ai veti. Gli appelli delle organizzazioni umanitarie sembrano ancora cadere nel vuoto. Intanto Gaza sprofonda. Ogni giorno si allontana la possibilità di una vita dignitosa, di una ricostruzione e di un futuro. Le parole dell'ONU non sono più allarmi preventivi, ma il racconto di un'agonia in corso, e l'eco che rimbalza da quella striscia di terra martoriata è una sola: non restate a guardare.

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