È la Manovra delle promesse tradite per la Lega: la legge Fornero resta e la flat tax per tutti è sparita

"Azzerare", "cancellare" o "superare" la riforma Fornero sulle pensioni con Quota 41. E allargare la flat tax (o tassa piatta) al 15% "alle partite Iva fino a 100mila euro e a dipendenti e pensionati". Questi erano due dei grandi impegni su cui la Lega fece campagna elettorale nel 2022. Invece la manovra 2026, varata in questi giorni dal governo Meloni, è la quarta legge di bilancio dell'esecutivo (su cinque possibili in tutta la legislatura) e va in direzione ben diversa.
La legge Fornero resterà praticamente l'unico modo per lasciare il lavoro, con un'età pensionabile sempre più alta. E la flat tax rimarrà identica, riservata alle partite Iva con fatturati fino a 85mila euro. Su queste due norme, insomma, la Lega non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte all'inizio della legislatura, arrendendosi al resto della maggioranza che ha deciso di usare i soldi in altro modo. Come ‘contentino' è arrivata la rottamazione quinquies, la "pace fiscale" invocata a più riprese da Matteo Salvini, che comunque è decisamente più moderata rispetto alla versione che il Carroccio aveva proposto in Parlamento.
Pensioni, da "azzerare la legge Fornero" all'aumento dell'età pensionabile
"È incivile dire che bisogna andare a 67 anni per andare in pensione (…) Qual è l'impegno della Lega – non dico la promessa, dico l'impegno? Se ci rivediamo tra un anno, avremo vinto le elezioni e non avremo fatto quello che ho detto stasera, siete titolati a spernacchiarmi: azzerare la legge Fornero e avviare Quota 41". Sono le parole che Matteo Salvini pronunciò il 25 agosto 2022 durante un comizio a Capitello, in provincia di Salerno. Oggi di anni ne sono passati più di tre.
Non a caso quel comizio – uno dei tanti effettuati dal segretario del Carroccio in campagna elettorale – è stato ripreso dalle opposizioni in questi giorni. Di "azzerare" la legge Fornero, dopo quattro leggi di bilancio, non se ne parla. E nemmeno di cambiarla. Quota 41, poi, è stata definitivamente messa da parte dopo alcuni mesi di dibattito sui giornali sulla possibilità di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi.
La Lega nel suo programma per le elezioni era stata chiara: "La profonda necessità di una revisione pensionistica in Italia è un’esigenza non più rimandabile", si leggeva, perché "ritardare l’accesso alla pensione" (come il governo Meloni ha fatto con questa legge di bilancio) "ha ripercussioni sui giovani e sull’intero mercato del lavoro, rallenta il cambio generazionale". La promessa quindi era di "riformare e a stravolgere in meglio tutto il comparto pensionistico", ovvero "superare la legge Fornero con Quota 41".
Invece dal 2027 i requisiti necessari per lasciare il lavoro saranno: 67 anni e un mese di età, oppure 42 anni e undici mesi di contributi. Dal 2028, il primo anno della prossima legislatura, saranno 67 anni e tre mesi di età o 43 anni e un mese di contributi. Questa è l'eredità che il governo Meloni e il Carroccio lasceranno dopo cinque anni al potere.
Le altre promesse mancate sulle pensioni: Opzione donna e Quota 103 cancellate
Il programma leghista, peraltro, faceva anche altre promesse più specifiche. "Per le lavoratrici il diritto alla pensione di vecchiaia matura a 63 anni (oggi 67) di età e almeno 20 anni di contributi", mentre Opzione donna "diventa strutturale". Anche il programma del centrodestra, che pure era più cauto, parlava di "flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione". Le cose andranno in direzione opposta.
Opzione donna sarà definitivamente cancellata dal 2026, dopo anni in cui è stata indebolita fino a ridurla a una misura per poche centinaia di lavoratrici all'anno, con requisiti sempre più stringenti. E lo stesso vale per Quota 103, che già in partenza era molto meno ampia di Quota 41. Tutte le "quote" spariranno, a meno di salvataggi all'ultimo minuto durante i lavori in Parlamento. Resteranno solo le opzioni fornite dalla riforma Fornero, dopo tre anni in carica del governo che avrebbe dovuto superarla.
Gli obiettivi della Lega sulla flat tax in Manovra
La flat tax "si può estendere almeno a una parte dei dipendenti e dei pensionati", cioè quelli con redditi fino a 50mila euro: "Si può fare. È una questione di scelta". Salvini disse anche questo, nell'ultima campagna elettorale, in un video diffuso sui social. Da anni la flat tax era uno dei temi su cui la Lega spingeva di più, tanto da averla introdotta per le partite Iva con un fatturato fino a 65mila euro già durante il primo governo Conte. Ma da allora le cose sono cambiate pochissimo.
Anche su questo il programma elettorale della Lega era deciso, con tre fasi da seguire nel corso della legislatura. Numero uno: alzare la soglia per le partite Iva ammesse alla ‘tassa piatta' da 65mila a 100mila euro. Numero due: estenderla alle imprese e alle famiglie con redditi fino a 70mila euro. Fase tre: "Entro i cinque anni, estensione del sistema fiscale a tutti", "senza limiti di reddito". A che punto è la riforma oggi? All'incirca a metà della fase uno.
Persino il programma di coalizione, che era meno ottimista, parlava comunque di "flat tax per le partite Iva fino a 100mila euro di fatturato" come obiettivo da raggiungere, mantenendo peraltro la "prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese". Anche questo traguardo minimo, però, al momento non è arrivato.
A che punto è la "tassa piatta" dopo quattro manovre del governo Meloni
Con la prima manovra, a fine 2022, il governo aveva alzato il tetto da 65mila a 85mila euro per le partite Iva. Poi si è sostanzialmente fermato. La legge di bilancio 2026 non contiene nulla di nuovo sulla questione. Nei mesi scorsi si era parlato di arrivare ai 100mila euro per gli autonomi: avrebbe dato qualcosa da rivendicare alla Lega. Invece no.
Sempre al netto di tentativi di modifica in Parlamento, i paletti resteranno gli stessi. Tassa piatta al 15% per le partite Iva con fatturato fino a 85mila euro. Potranno approfittarne anche gli autonomi che hanno uno stipendio da dipendenti o prendono la pensione, fino a 35mila euro (ma il reddito da busta paga verrà comunque tassato con l'Irpef normale, non con la flat tax). Fino al 2024 la soglia era a 30mila euro, quest'anno è stata alzata di 5mila euro e l'anno prossimo l'aumento sarà confermato.
Il tema è sparito anche dal dibattito, i soldi sono andati alla leggera riduzione dell'Irpef che soprattutto Forza Italia chiedeva da oltre un anno. Salvini ha dovuto accontentarsi di una detassazione su parte della busta paga, che ha chiamato "flat tax" ma è ben lontana da ciò che il Carroccio prometteva.
Peraltro, scorrendo il programma leghista nella sezione sulle tasse si legge anche: "Non avalleremo alcuna riforma che conduca a un aumento della pressione fiscale complessiva". Vale la pena di sottolineare che tra quest'anno e il 2026 la pressione fiscale, che è sempre salita dal 2023, dovrebbe toccare il picco degli ultimi dieci anni arrivando al 42,8%.