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Dazi Usa, Italia tra i Paesi più colpiti in Europa: quanto pesano tariffe e cambio dollaro

Secondo uno studio dell’Ispi, l’Italia è il secondo Paese dell’Ue più penalizzato dai dazi imposti dagli Stati Uniti. A pesare non sono solo le tariffe, ma anche il deprezzamento del dollaro rispetto all’euro, che agisce come un dazio “invisibile” sulle esportazioni.
A cura di Francesca Moriero
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Nel pieno delle tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti, l’Italia si ritrova tra i Paesi più colpiti dal nuovo scenario protezionista disegnato da Washington. Mentre si attende una lettera ufficiale dalla Casa Bianca alla Commissione europea, che potrebbe chiarire le future mosse tariffarie, sono infatti già in vigore dazi che minacciano la competitività delle imprese europee, in particolare italiane e tedesche. Oggi le esportazioni Ue verso gli Stati Uniti scontano una tariffa del 10%, ma l’ipotesi di un aumento al 50% è tutt’altro che remota. In questo contesto, uno studio dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) mette nero su bianco quanto peserebbe un’escalation commerciale sull’economia italiana. Non solo: a rendere la situazione ancora più sfavorevole contribuisce la svalutazione del dollaro, che agisce come un dazio occulto per chi vende in euro. Il risultato è che, tra dazi e tasso di cambio, l’export italiano verso gli Usa sta diventando sempre meno conveniente; e l’impatto sul Pil nazionale potrebbe essere tutt’altro che marginale.

I dazi non colpiscono tutti allo stesso modo

Sebbene le tariffe ufficiali imposte dagli Stati Uniti si applichino a tutti i Paesi dell’Unione europea, l’impatto reale varia significativamente da Stato a Stato. La ragione è semplice: non tutti esportano gli stessi prodotti, e le tariffe doganali americane sono molto differenziate tra i settori. Se alcuni comparti, come quello farmaceutico, godono di esenzioni, altri, come l’acciaio, l’alluminio e il settore automobilistico, sono invece colpiti da dazi molto elevati, che possono arrivare al 25% o addirittura al 50%. Il quadro è reso ancora più complesso dal fatto che, nei mesi scorsi, l’amministrazione statunitense ha modificato più volte il livello dei dazi: ad aprile il minimo era salito al 20%, per poi rientrare al 10% in un periodo di tregua temporanea, destinato a concludersi il 9 luglio.

Germania e Italia in prima linea tra i penalizzati

Secondo i dati Ispi, l’Italia è il secondo Paese europeo più colpito dalle politiche tariffarie Usa, subito dopo la Germania. Già prima dell’era Trump, il dazio medio applicato ai prodotti italiani si attestava attorno al 2,1%, contro una media Ue dell’1,3%. A maggio, però, la soglia è salita fino all’8%, mentre per la Germania ha toccato l’11%. La Francia, per confronto, si ferma al 6,4%. Questa distribuzione diseguale delle tariffe ha riflessi anche macroeconomici. Se i dazi dovessero effettivamente salire fino al 50%, come minacciato più volte dallo stesso Trump, le conseguenze sul prodotto interno lordo sarebbero pesanti. Sempre secondo l’Ispi, il Pil tedesco potrebbe ridursi dello 0,8%, quello italiano dello 0,6%, mentre per la Francia la contrazione stimata è dello 0,4%.

Un dazio "invisibile": l’effetto del dollaro debole

Oltre ai dazi formali, c’è un ulteriore fattore che aggrava la situazione per gli esportatori europei: il cambio euro-dollaro.
Dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, il dollaro ha perso circa il 13% del suo valore rispetto all’euro, rendendo i prodotti europei più costosi per i consumatori americani. Questo fenomeno agisce come una sorta di dazio aggiuntivo, perché riduce i margini di profitto delle imprese europee o costringe a ritoccare i prezzi verso l’alto, con il rischio di perdere competitività.

Secondo il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, la svalutazione equivale a un dazio aggiuntivo del 13%. Sommato al 10% già in vigore, il costo complessivo per le imprese italiane arriverebbe al 23%. L’Ispi propone una stima più prudente, ma comunque allarmante: un impatto complessivo del 21% sui ricavi delle esportazioni, a meno di scaricare interamente gli extracosti sul consumatore finale.

Tra incertezza e strategia: l’Italia cerca di difendere l’export

L’Italia, come altri Paesi europei fortemente esportatori, si trova insomma in una posizione delicata: da un lato, deve difendere i propri interessi commerciali nel secondo mercato di destinazione extra-Ue; dall’altro, non ha strumenti diretti per contrastare una politica commerciale unilaterale come quella adottata dagli Stati Uniti. Le imprese cercano di diversificare i mercati di sbocco, ma il legame economico con gli Usa resta strategico, soprattutto per settori ad alto valore aggiunto come meccanica, farmaceutica, moda e agroalimentare.

Il governo italiano e la Commissione europea sono dunque impegnati in un difficile negoziato per evitare un’ulteriore escalation, ma i margini di manovra sembrano sempre più ristretti. In gioco, infatti on c’è solo una questione commerciale, ma anche geopolitica: la capacità dell’Europa di reagire unita a una strategia americana sempre più assertiva.

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