Cosa dice il report di Francesca Albanese e quali aziende vengono nominate: il nuovo episodio di “Nel Caso Te Lo Fossi Perso”

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“Mentre la vita a Gaza viene cancellata e la Cisgiordania è sotto crescente attacco, questo report mostra perché il genocidio perpetrato da Israele continua: perché è reddittizio per molti”. È quello che dice l’ultimo report di Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Sì, quel report per cui la Casa Bianca ha deciso di imporle sanzioni individuali e l’ha accusata di aver iniziato una guerra politica ed economica contro gli Stati Uniti.
Si chiama “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. È un report in cui Albanese mostra la complicità delle imprese, del settore privato, nel massacro a Gaza. Si sottolinea che mentre i governi e i leader politici vengono meno ai loro obblighi, per quanto riguarda il diritto internazionale, le aziende e l’universo corporate traggono profitto dall’occupazione israeliana, dall’apartheid e ora dal genocidicio.
Vi leggo le prime righe del report: “Gli sforzi coloniali e i genocidi a questi associati sono stati storicamente guidati e favoriti dal settore aziendale. Gli interessi commerciali hanno contribuito all’espropriazione delle loro terre ai popoli indigeni, una modalità di dominio nota come “capitalismo coloniale e razziale”. Questo vale anche per la colonizzazione israeliana delle terre palestinesi, la sua espansione e l’istituzione di un regime di apartheid coloniale. E dopo aver negato per decenni l’autodeterminazione del popolo palestinese, ora Israele sta mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dei palestinesi in quelle terre”.
Parafrasando: diverse aziende hanno tratto profitto dall’occupazione israeliana in Palestina, si parla proprio di un’economia dell’occupazione che coinvolge diversi settori privati. Dal 7 ottobre, invece di sganciarsi, molte imprese – denuncia Albanese – sono ora coinvolte nell’economia del genocidio. Non si parla solo dei produttori di armi, che chiaramente si sono sempre arricchiti con la guerra, ma anche delle aziende tecnologiche, banche e molto altro.
Vi leggo alcune parole di Albanese che precisano di che entità di profitto stiamo parlando: “Negli ultimi 21 mesi – dice la relatrice – mentre il genocidio di Israele devastava il territorio e le vite dei Palestinesi, la borsa di Tel Aviv cresceva del 213%, accumulanod 225,7 miliardi di dollari in guadagni di mercato, di cui 67,8 miliardi solo nell’ultimo mese. Per alcuni, il genocidio è redditizio”.
Insomma, il mondo corporate è intrinsecamente legato al progetto di occupazione, apartheid e ora al massacro. Il report cita direttamente 48 aziende diverse, accusandole di non aver usato il proprio peso sul mercato per contrastare le azioni dell’esercito israeliano, ma anzi di averle sostenute e viste come un’opportunità di mercato. Una mera attività economica, nonostante gli abusi e le atrocità quotidiane.
Ma quindi, quali sono queste aziende? Come dicevo all’inizio non viene citata solo l’industria militare. Ci sono anche le big tech, accusate di aver fornito a Israele tecnologie per rafforzare la repressione del popolo palestinese: tecnologie per la raccolta di dati biometrici, usati per la sorveglianza di massa, ma anche per automatizzare alcune operazioni militari. Poi c’è il settore bancario che in tutti questi mesi ha sostenuto economicamente il governo israeliano, permettendogli di perpetrare i bombardamenti e gli attacchi. E infine tutta una serie di aziende che vengono accusate di aver venduto beni e servizi per un dual-use: cioè, di aver venduto prodotti normalmente usati per scopi civili che però sono stati utilizzati nelle azioni militari o comunque a sostegno dell’occupazione.
Facciamo un po’ di nomi, partendo proprio dalla componente militare. Secondo il report, l’esercito israeliano ha beneficiato del più grande programma di approvvigionamento di sempre in difesa, per i caccia F-35, prodotti da Lockheed Martin, un’azienda statunitense. Per questa fornitura sono stati coinvolti oltre 1.600 provenienti da otto Paesi diversi.Tra queste, descritta come una delle principali contributor, è citata anche l’italiana Leonardo.
Passando alle big tech, il report punta il dito contro Microsoft, Alphanet (cioè l’azienda a cui fa capo Google) e Amazon, tra le altre. Sono accusate di aver dato accesso al governo israeliano ai loro cloud e tecnologie di intelligenza artificiale, che appunto vengono usate per perpetrare la sottomissione del popolo palestinese. La statunitense IBM è accusata di aver addestrato personale militare e di intelligence, insegnando ad usare un database che contiene i dati biometrici dei palestinesi. Palantir Technologies, addirittura, sarebbe andata a supporto delle IDF, le Forze di Difesa Israeliane, nell’automatizzazione di alcune decisioni in campo militare. Ad esempio nella decisione di chi è un obiettivo militare oppure no. Dall’azienda hanno negato tutto.
C’è molto altro, e ad essere coinvolte sono anche molte aziende che non operano in campo militare di norma, ma che nel report vengono accusate di vendere i loro prodotti e servizi con un cosiddetto dual-use: cioè sviluppano dei beni per uso civile, ma poi questi vengono usati dal governo israeliano in campo militare. Ad esempio, vengono citate Hyundai e Volvo (la prima coreana, la seconda svedese) che hanno fornito mezzi pesanti che sono stati utilizzati per demolire le case dei palestinesi e radere al suolo interi insediamenti in modo da fare spazio ai coloni. Oppure, ancora vengono citate sia Booking e Airbnb, perché sulle loro piattaforme mettono a disposizione delle case proprio in questi insediamenti illegali. Nel settore alimentare si cita invece un’azienda cinese, Bright Dairy & Food, che è proprietaria di Tnuva, il principale gruppo israeliano di agroalimentare: è accusata di trarre profitto dall’occupazione delle terre palestinesi.
Al mondo delle aziende si aggiunge poi quello bancario. Secondo il report, anche i buoni del Tesoro hanno avuto un ruolo cruciale nell’assicurare che Tel Aviv potesse portare avanti la guerra a Gaza. Alcune delle principali banche al mondo, come la francese BNP Paribas o la britannica Barclays, vengono accusate di aver mantenuto contenuti i tassi di interesse per Israele nonostante il declassamento del credito. Insomma, anche solo citando questi esempi è chiaro di quanto sia esteso il supporto del settore privato al governo israeliano. E quanto profitto ci sia, per questi soggetti, dall’occupazione. Sono coinvolti tantissimi settori diversi e moltissimi Paesi.
Ora, la domanda è: queste aziende private sono da ritenersi responsabili, sotto il diritto internazionale? Per Albanese la risposta è chiara, ed è un sì. Le imprese non sono soggetti che possono essere astratti dal contesto in cui operano, anche loro sono soggette alla normativa internazionale. Anche loro hanno l’obbligo di non violare i diritti umani con le loro attività commerciali. L’occupazione dei territori palestinesi è illegale e lo dice il diritto internazionale. Le imprese e il settore privato, allora, dovrebbero comportarsi di conseguenza, altrimenti i loro dirigenti dovrebbero essere giudicati dalle corti internazionali, sostiene sempre il report.
Concludiamo con alcune righe del report: “La complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell'iceberg; porvi fine non sarà possibile se il settore privato non è chiamato a rispondere, i suoi dirigenti compresi. Il diritto internazionale riconosce diversi gradi di responsabilità, ognuno dei quali richiede verifiche e accertamenti, in particolare in questo caso, dove sono in gioco l'autodeterminazione e l'esistenza stessa di un popolo. Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha permesso”.
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