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Conto corrente per tutti: cosa prevede la proposta di legge del centrodestra e chi ci guadagna

Una proposta della maggioranza promette l’accesso universale al conto corrente, obbligando le banche ad accettare chiunque lo richieda e impedendo la chiusura dei conti attivi. Ma il testo solleva dubbi su libertà contrattuale, norme Ue e sostenibilità del sistema.
A cura di Francesca Moriero
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Gli istituti di credito fanno i loro conti e si schierano contro la nuova norma imposta dal Governo che garantisce conti a zero spese per i pensionati fino a 1500 euro al mese. Le banche contrarie anche ai nuovi provvedimenti in materia di mutui e commissioni sulle spese con carta elettronica.

Aprire un conto corrente potrebbe presto smettere di essere una scelta concessa dalla banca e diventare, invece, un diritto garantito per legge. È questa la promessa contenuta in una proposta di legge presentata da Lega, Fratelli d'Italia e Noi Moderati, ora all’esame della Camera, che mira a trasformare un servizio oggi regolato dal mercato in uno strumento di cittadinanza economica, vincolando gli istituti bancari ad accettare chiunque ne faccia richiesta. L’obiettivo dichiarato appare chiaro: eliminare ogni ostacolo all’inclusione finanziaria. In un contesto in cui tutto, dallo stipendio al bonus sociale, dai pagamenti alle identità digitali, passa per un conto corrente, l’assenza di questo strumento significa, per il centrodestra, esclusione, invisibilità, marginalità; per questo la proposta di legge mira a garantire che ogni persona, indipendentemente dal proprio passato creditizio o dalla valutazione della banca, abbia diritto a un conto e che l’istituto non possa chiuderlo finché resta in attivo.

Ma a fronte di questo slancio politico, si affacciano interrogativi rilevanti: fino a che punto è legittimo imporre un obbligo contrattuale a un soggetto privato? La libertà delle banche può essere compressa per una finalità sociale? E, soprattutto, questa norma è compatibile con il diritto europeo e con la nostra Costituzione? Nel tentativo di colmare un vuoto sociale, la politica apre un fronte giuridico che appare, almeno per ora, tutt'altro che semplice.

Cosa prevede il testo

Il cuore della proposta sarebbe duplice: da un lato, viene introdotto l’obbligo per le banche di stipulare un contratto di conto corrente con chiunque ne faccia richiesta. Dall’altro, si vieta agli istituti di chiudere unilateralmente il conto se il saldo è positivo. In sostanza, né precedenti protesti né iscrizioni in banche dati dei cattivi pagatori potranno più costituire un ostacolo, e la banca non potrà più decidere autonomamente di “liberarsi” di un cliente sgradito, finché il conto rimane in attivo. L’unica eccezione ammessa riguarda la normativa antiriciclaggio: in presenza di fondati sospetti legati a reati finanziari o al terrorismo, la banca potrà ancora rifiutare l’apertura o disporre la chiusura del conto; ma fuori da queste situazioni estreme, l’accesso al conto diventa un diritto pieno.

Una svolta che supera il "conto di base"

Chi guarda con favore alla proposta sottolinea che si tratta di una misura di giustizia sociale. Sebbene oggi esista già uno strumento pensato per l’accesso universale, il cosiddetto “conto di base” introdotto dal 2017 per recepire una direttiva europea, la sua diffusione è limitata e non priva di ostacoli. Le banche possono ancora rifiutare la richiesta in base a criteri oggettivi o sospetti soggettivi, e in molti casi chi vive in condizioni economiche fragili si vede negare l’accesso ai servizi essenziali; il nuovo testo, invece, punta a eliminare ogni filtro preventivo, trasformando l’apertura del conto in un diritto non negoziabile.

I dubbi di legittimità

Ma la proposta solleva non pochi interrogativi: già nella scorsa legislatura, quando un’ipotesi simile era stata avanzata dalla Lega, la Banca d’Italia aveva infatti eespresso perplessità sul possibile contrasto con la normativa europea e con alcuni principi costituzionali. Imporre per legge alle banche l’obbligo di contrarre, cioè di concludere un contratto indipendentemente dalla loro volontà, potrebbe ledere la libertà d’impresa e la cosiddetta autonomia negoziale, ovvero il diritto di ogni soggetto di scegliere con chi stipulare un contratto; c'è poi il problema della coerenza con le regole europee: se l’obbligo vale solo in Italia, si crea una distorsione nel mercato unico che potrebbe penalizzare gli operatori nazionali rispetto a quelli di altri Stati membri. L’Associazione bancaria italiana ha più volte segnalato questo rischio di “asimmetria competitiva”, temendo che l’intento di garantire inclusione possa tradursi in uno squilibrio sistemico.

Tra promesse elettorali e prove di realtà

Per la maggioranza, la proposta sarebbe anche un segnale politico: Guerino Testa, deputato di Fratelli d’Italia e relatore del testo, l’ha definita una risposta concreta agli impegni presi con gli elettori. "In un’epoca in cui tutto è tracciato, tutti devono avere accesso al conto corrente",  ha dichiarato. E anche per Armando Siri, storico promotore dell’iniziativa, si tratta di una battaglia di civiltà: nessuno dev’essere escluso dai diritti fondamentali solo perché privo di uno strumento bancario. Ma tra le buone intenzioni e l’effettiva praticabilità normativa c’è una distanza che solo il confronto parlamentare e il vaglio degli organi di garanzia potranno colmare.

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