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Codici identificativi per gli agenti di Polizia, Lamorgese: “Ci sono già le telecamere sui caschi”

Il tema dei codici identificativi per la polizia è tornato di attualità dopo gli scontri tra studenti e agenti durante la manifestazione di Torino. La ministra dell’Interno ha chiuso subito alla possibilità, mentre Amnesty International ha appena consegnato 155mila firme al capo della Polizia per l’introduzione dei codici.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Il dibattito sui codici identificativi per gli agenti di polizia si è riaperto ufficialmente, ma la ministra Lamorgese ha chiuso immediatamente ogni discussione. Dopo i fatti di Torino – gli scontri tra studenti e agenti – il tema è tornato all'ordine del giorno. "Sono già in essere le telecamere sui caschi delle forze di polizia che servono a documentare le azioni proprio per la massima trasparenza e questo serve a tutti, a chi manifesta, ma anche alle forze di polizia – ha chiosato ieri la titolare del Viminale – Siamo in questa fase ora, non mi sposterei". Insomma, nessuna apertura, nessuna discussione. Dei codici identificativi si discute da molti anni, anche in relazione a quello che accade negli altri Paesi europei. Anche questa volta, però, il dibattito viene stroncato sul nascere.

La ministra dell'Interno si riferisce alla novità introdotta meno di un mese fa, annunciata con una circolare firmata dal capo della Polizia Lamberto Giannini: poco meno di mille bodycam, ovvero le telecamere a cui fa riferimento Lamorgese, che però possono essere utilizzate con delle regole ben precise. Potranno decidere di utilizzarle gli agenti solo se in presenza di "concrete e reali situazioni di pericolo, di turbamento dell’ordine pubblico o di fatti di reato".

Dei codici identificativi per la polizia, però, non si discute certo da oggi. Sarebbero utili per fornire "adeguati strumenti per la tutela dei cittadini da eventuali abusi del diritto che occasionalmente si potrebbero verificare", scrive Giuditta Pini – deputata del Partito Democratico – in una proposta di legge ferma da anni in Parlamento. Così come quella di un altro deputato, Riccardo Magi. "Per la ministra Lamorgese i codici identificativi per le forze dell'ordine non servono perché ci saranno le telecamere sulle divise, non sono d'accordo – scrive Nicola Fratoianni sui suoi social – Innanzitutto, le due cose non si escludono, possiamo avere sia i codici, che le telecamere. In secondo luogo, è vero, le telecamere sono una garanzia in più, ma non risolvono il problema di fondo: rendere l'individuo responsabile delle proprie azioni, dando anche ai comuni cittadini la possibilità di denunciare senza impedimenti burocratici abusi e soprusi delle forze dell'ordine. Questo è il punto, far finta che non sia così significa solo buttare parole al vento. Oppure alimentare assurde polemiche su infiltrati e altre fantasie, come avvenuto nei giorni scorsi".

Poi il segretario di Sinistra Italiana rilancia: "Pochi giorni fa Amnesty ha portato al Viminale 155mila firme per introdurre i codici identificativi per le forze dell’ordine in servizio di ordine pubblico e la nostra proposta di legge è ancora lì, depositata e in attesa di essere discussa. Lo ripeto ancora una volta, approviamo questa norma di civiltà".

Fratoianni si riferisce a quanto avvenuto il 27 gennaio, quando una delegazione di Amnesty International Italia ha incontrato il capo della Polizia e gli ha consegnato oltre 155.000 firme raccolte per la petizione della campagna che chiede l’introduzione di una legge sui codici identificativi per le forze di polizia impegnate in operazioni di ordine pubblico. L'Ong ritiene "urgente una normativa in linea con gli standard internazionali". Il punto è proprio questo: il codice identificativo (o in alternativa il nome e il cognome) è presente sulle divise delle forze dell'ordine nella stragrande maggioranza dei Paesi europei. Solo Austria, Olanda e Italia non lo hanno. È presente invece in Spagna, Francia, Grecia, Regno Unito, Portogallo e moltissimi altri. In Germania c'è in nove regioni su sedici.

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