Chi pagherebbe la tassa patrimoniale proposta in Manovra e perché se ne parla così tanto

Il testo della proposta è nero su bianco, tra gli emendamenti alla legge di bilancio 2026: una "imposta ordinaria unica sulle grandi ricchezze", ovvero una cosiddetta tassa patrimoniale. Dal valore dell'1,3% all'anno, per chi ha una "ricchezza netta superiore a 2 milioni di euro". Ad avanzarla è stato Alleanza Verdi-Sinistra, che da anni porta avanti proposte sul tema, e nelle scorse settimane l'aveva sostenuta apertamente anche il segretario della Cgil Maurizio Landini, che l'aveva definita un "contributo di solidarietà".
Il dibattito politico sulla questione si è subito acceso: il centrodestra è radicalmente opposto e anche nell'opposizione c'è scetticismo. Nonostante i sondaggi indichino che gli italiani sarebbero, in grande maggioranza, favorevoli.
Come funziona la tassa patrimoniale proposta in Manovra
Per la precisione, la proposta è di una tassa pari all'1,3% della ricchezza netta, ovvero quella che si calcola sottraendo i debiti. Ad esempio, se ho una casa da 500mila euro, ma mi restano ancora 200mila euro di mutuo da pagare, quella casa ‘vale' solo 300mila euro ai fini della tassa. Si tiene conto di tutte le "attività mobiliari ed immobiliari", quindi investimenti, appartamenti, auto, barche… che queste si trovino in Italia o anche all'estero.
Gli interessati sarebbero coloro che hanno una ricchezza netta di oltre due milioni di euro. Secondo le stime della Cgil si parlerebbe di circa 500mila persone, poco più dell'1% dei contribuenti.
La legge prevede che tutte le "persone fisiche e giuridiche residenti in Italia" dichiarino i loro "immobili, investimenti ovvero altre attività di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia". Gli immobili dichiarati così sarebbero esenti da Imu e Tasi. Ma per chi evade, scatta una sanzione con un importo dal 3% al 15% della somma non dichiarata.
Infine, c'è un'indicazione su come usare i soldi ottenuti. Andrebbero divisi in quattro parti uguali. La prima al Fondo sanitario nazionale, la seconda all'istruzione, la terza alla lotta alla crisi climatica e la quarta all'edilizia residenziale pubblica.
Cosa ne pensano i partiti: chi è contro e chi è a favore
Sulla proposta di Avs si è acceso uno scontro politico immediato. "Finché governiamo noi queste ricette bizzarre e tardo-comuniste non passeranno", ha dichiarato addirittura la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un comizio elettorale in Campania. Peraltro, Meloni ha mischiato le carte unendo il dibattito sull'Irpef a quello sulla patrimoniale, e dicendo: "Se la sinistra considera ricco chi guadagna 2.500 euro al mese, la patrimoniale che propongono si applicherà anche a loro?". Come spiegato, l'imposta non avrebbe a che fare con gli stipendi ma con la ricchezza accumulata, oltre i due milioni di euro.
È piuttosto raro che la leader del governo si schieri con toni così duri su un singolo emendamento, che peraltro non è nemmeno sostenuto da tutte le opposizioni, a differenza di altri: l'ha firmato solo Tino Magni, senatore di Verdi-Sinistra. E questo è un'indicazione di quanto il tema sia sensibile, a livello politico. Tra i vari motivi, perché le disuguaglianze tra i più ricchi e i più poveri negli ultimi anni sono aumentate molto anche in Italia.
Se la destra è tutta contraria, l'opposizione è ambivalente. Elly Schlein, segretaria del Pd, ha detto che sarebbe necessario varare una "tassazione a livello europeo" sui "miliardari", per evitare che la patrimoniale in un singolo Paese spinga i più ricchi ad andarsene (un tema citato spesso quando si parla di patrimoniale, anche se alcuni studi sui Paesi che già ce l'hanno suggeriscono che le conseguenze potrebbero non essere dure). Visto che però in Ue le misure che riguardano le tasse vanno approvate all'unanimità, è quasi impossibile che ci si riesca.
È stato più netto Giuseppe Conte: "Una patrimoniale non è all'ordine del giorno", ha dichiarato. E ancor di più Matteo Renzi, che ha parlato di un "autogol mediatico del centrosinistra" per aver sollevato la questione, mentre l'opposizione dovrebbe concentrarsi sul ridurre le tasse e sottolineare che la pressione fiscale è aumentata con il governo Meloni. Insomma, vista la linea della destra e le esitazioni del centrosinistra, è improbabile che una patrimoniale di questo tipo passi.
Cosa fanno gli altri Paesi europei
Oggi in Europa ci sono solo tre Stati che applicano una patrimoniale su tutta la ricchezza come quella proposta da Avs: si tratta di Svizzera, Norvegia e Spagna. In altri, come la Francia, ci sono idee simili: l'economista francese ha proposto la cosiddetta Zucman tax, con un'aliquota del 2% oltre i cento milioni.
La Spagna è il Paese più simile all'Italia in questa lista, e anche se ci sono differenze di cui tenere conto si può fare un paragone: gli spagnoli che hanno più di tre milioni di euro pagano l'1,7%, poi la percentuale sale fino al 3,5% oltre i dieci milioni. L'incasso, lo scorso anno, è stato di circa due miliardi di euro.
È vero che in Italia una patrimoniale c'è già?
Un altro tema circolato negli scorsi giorni è che, in forme diverse, delle tasse patrimoniali – cioè che colpiscono la ricchezza, e non il reddito – in Italia esistono già. Solo che non riguardano l'intera ricchezza, ma degli aspetti specifici. Norme così esistono anche in Belgio, Francia e Paesi Bassi. Basta pensare, per esempio, all'Imu, che riguarda le seconde case e le abitazioni di lusso.
La Cgia di Mestre (associazioni di artigiani e piccole imprese) ha stimato che l'anno scorso lo Stato italiano abbia incassato 51,2 miliardi di euro da imposte patrimoniali. Soprattutto dall'Imu (23 miliardi), ma anche dall'imposta di bollo su conti correnti, fatture, ricevute eccetera, così come dal bollo auto e dall'imposta di registro per gli immobili.
Va detto, peraltro, il governo Meloni ha anche aumentato alcune imposte minori che, di fatto, sono patrimoniali. È successo, ad esempio, con l'imposta sugli immobili di proprietà all'estero e con quella sulle attività finanziarie all'estero, chiamate Ivie e Ivafe. La prima è salita dallo 0,76% all'1,06% dal 2023, la seconda è passata dal due al quattro per mille solo per le attività che si svolgono in paradisi fiscali.