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Caso Almasri

Caso Almasri, l’Italia vuole modificare la legge sulla cooperazione con la Corte penale internazionale

Per contenere i danni diplomatici legati al caso Almasri, il Governo Meloni ha annunciato possibili modifiche alla legge 237 del 2012 e ha inviato una risposta ufficiale alla Corte penale internazionale. Nel frattempo sul fronte libico l’Italia ha rinnovato automaticamente il memorandum del 2017 sulla cooperazione in materia di sicurezza e controllo dei flussi migratori.
A cura di Francesca Moriero
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Quando il generale libico Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, viene arrestato a Torino il 19 gennaio, tutto sembra procedere secondo i protocolli internazionali. Ma appena due giorni dopo, senza attendere il parere del Guardasigilli, Almasri viene rimpatriato a Tripoli con un volo di Stato.

La rapidità dell'operazione ha fin da subito sollevato non pochi interrogativi: perché l'Italia, allora, non ha seguito la prassi prevista dalla Corte? E come mai il ministero della Giustizia non ha risposto alle sollecitazioni dei giudici romani?

Cosa prevede la proposta di modifica

Venerdì scorso Roma ha inviato la propria risposta ufficiale alla Corte penale internazionale tramite l'ambasciatore nei Paesi Bassi, Augusto Massari. Nella lettera, Massari sembra voler limitare i danni diplomatici del caso Almasri, segnalando le difficoltà di coordinamento tra magistratura e ministero della Giustizia e sottolineando al tempo stesso la volontà dell’Italia di collaborare con la Corte, senza però assumersi responsabilità politiche dirette.

Oggi, secondo la legge 237 del 2012, ogni comunicazione tra i magistrati italiani e la Corte deve passare attraverso il ministero della Giustizia, che ha l’ultima parola; la riforma in discussione prevede invece che i magistrati possano comunicare direttamente con la Corte, senza passare per il ministero della Giustizia, semplificando così il processo e riducendo i rischi di ritardi o incomprensioni. In altri Paesi europei, invece, la gestione resta nelle mani dell’esecutivo: in Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, per esempio, il governo decide se le richieste dei magistrati possono essere trasmesse alla Corte, filtrandole per motivi di sicurezza nazionale o politica estera. La magistratura manterrebbe comunque piena autonomia nelle indagini, ma le tensioni politiche e le complicazioni giudiziarie interne — come il diniego del Parlamento a concedere l’autorizzazione a procedere per alcuni ministri e le indagini su figure chiave del ministero della Giustizia — rendono più complesso il dialogo con la Corte.

Intanto, sul fronte estero, la politica italiana prosegue senza modifiche.

Memorandum Italia-Libia: la cooperazione prosegue

Nonostante le tensioni con la Corte penale internazionale, sul fronte libico l'Italia continua infatti a rinnovare il memorandum del 2017 sulla cooperazione in materia di sicurezza e controllo dei flussi migratori: un accordo che mantiene operativi i centri di detenzione in Libia e rafforza la cosiddetta guardia costiera di Tripoli. Organizzazioni internazionali e rapporti Onu hanno più volte documentato che nel paese si verificano torture, violenze, detenzioni arbitrarie e tratta di esseri umani, e che la Libia non può essere considerata un porto sicuro per i migranti soccorsi in mare.

In altre parole, mentre Roma cerca di risolvere le criticità interne emerse con il caso Almasri, sul fronte libico la cooperazione prosegue praticamente senza modifiche.

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