Nel caso te lo fossi perso, il Podcast

Anche se il governo non parla più dei migranti, gli sbarchi continuano: il nuovo episodio di “Nel Caso Te Lo Fossi Perso”

“Nel caso te lo fossi perso” è il Podcast di Fanpage.it che ogni giorno alle 18.00 fa il punto sulla notizia più importante del momento, per farti restare sempre aggiornato. Oggi parliamo di come gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane stiano continuando, con numeri in aumento, anche se le forze di governo non ne parlano più.
A cura di Annalisa Girardi
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Ma lo avete notato che quest’estate non si sta parlando di sbarchi e arrivi dei migranti? Una cosa un po’ strana, no? Visto che per oltre dieci anni il tema dei flussi migratori via mare, dalle coste del nordafrica, è stato centrale nella politica italiana. E visto che alcune forze politiche, quelle che oggi sono al governo, hanno costruito la loro architettura del consenso proprio sulla retorica del contrasto all’immigrazione. Qualcuno potrebbe dire che non se ne parla più proprio perché con le misure messe in campo dal governo il problema è stato affrontato e risolto, e ora gli arrivi sono solo regolari. Quelli del decreto Flussi, per capirci. Beh, spoiler? Non è così. Gli sbarchi quest’anno sono aumentati.

Anche se le forze politiche di maggioranza non stanno più martellando ogni giorno con la retorica anti immigrazione, il governo continua comunque a raccogliere i dati. È quello che il ministero dell’Interno chiama il Cruscotto statistico giornaliero: ogni giorno si segnano i dati degli arrivi via mare e si mettono a confronto i numeri con quelli dei due anni precedenti, si paragonano le tendenze e si analizzano anche i Paesi di provenienza. Insomma, un database abbastanza dettagliato.

Ecco, affidiamoci proprio a questo per vedere cosa è successo nei primi sei mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2024. E viene fuori che, anche se abbiamo smesso di parlarne, anche se lo scontro politico è su altro, gli arrivi non si sono mai fermati. E anzi, sono aumentati. Dal 1 gennaio al 30 giugno di quest’anno, del 2025, sono sbarcate sulle coste italiane oltre 30 mila persone, precisamente 30.269. Nello stesso periodo dell’anno scorso erano poco più di 26mila, precisamente 26.202. Quindi, stiamo parlando di un aumento del 15,5%.

Sicuramente sono comunque numeri distanti da quelli del 2023, l’anno della strage di Cutro e di flussi molto intensi dalla Tunisia. In quell’anno, nella prima metà, infatti sbarcarono oltre 65 mila persone. Ma il punto qui rimane: e cioè che gli arrivi, al di là appunto di picchi che ci possono essere per diversi fattori, rimangono sostanzialmente stabili. Perché le persone si spostano e migrano indipendentemente dal colore politico dei governi.

Una cosa che è cambiata in questi anni riguarda più che altro il Paese di partenza. Se appunto nel 2023 era la Tunisia, oggi è tornato ad essere la Libia. A dircelo è Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, in un report pubblicato a inizio luglio in cui appunto si fotografa la situazione nella prima metà del 2025 per quanto riguarda i flussi migratori verso l’Europa. In questo documento si dice una cosa ben precisa, cioè che in generale le entrate irregolari nell’Unione europea sono diminuite del 20%, ma che invece lungo la rotta del Mediterraneo centrale i flussi continuano ad aumentare.

Questa rotta, che è appunto quella che dalle coste della Libia e della Tunisia punta a quelle italiane, rimane la principale rotta migratoria verso l’Europa, che riguarda il 39% degli arrivi totali. Frontex dice che nella prima metà dell’anno gli arrivi lungo questa via sono aumentati del 12% rispetto al 2024. E poi dice che la Libia continua ad essere il principale Paese di partenza per chi intraprende questo viaggio pericolosissimo, con un aumento dell’80% rispetto all’anno scorso.

E questo è un dato notevole, da sottolineare. Perché proprio a inizio luglio il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è andato in Libia insieme a una delegazione europea proprio per parlare della gestione dei flussi migratori. E ha parlato di straordinaria collaborazione con il governo di unità nazionale, quello che ha sede a Tripoli ed è guidato dal primo ministro Dbeibeh. Solo che poi è stato dichiarato persona non grata e respinto all’aeroporto di Bengasi, per cui non è riuscito a incontrare né il generale Haftar, né gli altri funzionari alla guida della Cirenaica. Dove non c’è un governo riconosciuto dalla comunità internazionale, è vero, ma i rapporti comunque ci sono. Ci sono anche, se non soprattutto, per gestire i flussi migratori.

Dopo l’incidente diplomatico in aeroporto Piantedosi ha assicurato che non ci saranno ritorsioni migratorie e che i rapporti con la Libia sono solidi, con entrambe le fazioni che controllano il territorio. Il ministro ha anche detto che appunto questa straordinaria collaborazione, sia con le autorità della Libia che con quelle della Tunisi, sta dimostrando i suoi frutti sia sul fronte del contrasto al traffico di esseri umani, che su quello del sostegno ai rimpatri volontari assistiti.

Ma, appunto, i dati raccontano una situazione un po’ diversa, in cui gli arrivi non si fermano. Non si fermano perché la Libia, così come tutte la regione subsahariana, rimane colpita da una fortissima instabilità, politica e militare. Perché il cambiamento climatico sta impattando in modo tragico alcune delle zone già di per sé più vulnerabili del pianeta. Perché anche al netto di guerre e carestie, le persone partiranno sempre per cercarsi un futuro migliore. Ed è loro diritto farlo.

Qualche giorno fa Filippo Grandi, che è l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha parlato della situazione in Libia in un’intervista con il Corriere della Sera. Ha sottolineato che anche se i numeri stanno crescendo lungo la rotta nel Mediterraneo, la situazione è ancora pienamente gestibile. Però la situazione in Nord Africa è critica, ha detto. Vi leggo uno spezzone delle sue parole: “La Libia è di nuovo più  instabile, l'equilibrio fra le varie tribù e fazioni è fragile. Aumenta l'apprensione nostra e degli altri osservatori presenti. C'è un indurimento verso rifugiati e migranti, è più difficile avere accesso o toglierli dai centri di detenzione. L'esperienza ci dice che in momenti come questo il potere è più  disgregato e le difficoltà crescono".

La Libia è un Paese di partenza, ma non è il primo di origine. I principali in questo senso continuano a essere il Bangladesh, l’Eritrea, l’Egitto. Sempre Grandi ad esempio ha sottolineato che in questo stesso istante ci sono milioni di rifugiati in fuga dalla guerra in Sudan. A Lampedusa ha incontrato alcuni ragazzi sudanesi, e uno di loro gli ha raccontato la sua storia. Ha detto di essere uno studente di Karthoum, di essere scappato verso ovest, verso il Ciad. Un milione di profughi cerca assistenza sanitaria in Ciad, ma il sistema è al collasso anche a causa dei tagli agli aiuti umanitari da parte degli Stati Uniti. E in situazioni come queste subito si apre uno spazio per i trafficanti, che conducono queste persone in Libia, nella speranza di partire poi verso l’Europa. Anche a costo di passare per l’inferno dei centri di detenzione libici. Ecco, queste persone continuano ad arrivare e lo faranno sempre. Come farebbe chiunque in date situazioni.

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