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Nelle coppie di donne la madre intenzionale ha diritto al congedo di paternità: la sentenza della Consulta

La madre intenzionale, cioè la donna che non ha partorito il figlio ma lo cresce insieme alla madre biologica, ha diritto a ricevere il congedo di paternità obbligatorio – dieci giorni retribuiti al 100%. Lo ha stabilito di fatto la Corte costituzionale, su una questione sollevata dalla Corte di Brescia, dichiarando illegittima la norma del 2001 che non includeva anche le coppie di madri.
A cura di Luca Pons
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La Corte costituzionale si è pronunciata su una questione sollevata dalla Corte d'appello di Brescia e ha dichiarato incostituzionale la norma che escludeva, nelle coppie di donne, la madre intenzionale dal congedo di paternità di 10 giorni. Quando un figlio è cresciuto da una coppia di due madri, quella che ha partorito il bambino è la cosiddetta madre biologica, e al lavoro ha diritto al congedo di maternità; l'altra è la cosiddetta madre intenzionale, che fino a oggi però non aveva diritto al congedo di paternità. Su questo è intervenuta la  sentenza della Corte costituzionale, a stabilire che si trattava di una discriminazione.

Con la sentenza 115/2025 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 27-bis del decreto legislativo del 2001 che non riconosceva il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice, se è questa è la madre intenzionale in una coppia di donne e entrambe sono registrate come genitori nei registri comunali. Dunque, se una donna ricopre di fatto lo stesso ruolo del padre nelle coppie eterosessuali – cioè non ha partorito il figlio, ma lo cresce insieme alla compagna – deve accedere al congedo di paternità obbligatorio: dieci giorni senza lavorare, con retribuzione al 100% dello stipendio.

Cosa ha detto la Consulta sul congedo di paternità alla madre intenzionale

La Corte costituzionale ha detto che la "disparità di trattamento " era "manifestamente irragionevole": le coppie composte da persone di sesso diverso venivano trattate in un modo, mentre quelle composte da due donne registrate come genitori "legittimamente attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita svolte all'estero" in un altro. Invece, nel momento in cui le due madri condividono un "progetto di genitorialità", hanno gli stessi "doveri funzionali alle esigenze del minore che l'ordinamento considera inscindibilmente legati all'esercizio della responsabilità genitoriale".

Peraltro, nelle coppie di due donne si può distinguere "una figura equiparabile a quella che è la figura paterna all'interno delle coppie eterosessuali, distinguendo tra la madre biologica e quella intenzionale, che ha condiviso l'impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato e vi partecipa attivamente". Insomma, non c'è motivo di limitare il diritto al congedo di paternità.

Anche perché, in tutti i casi, la priorità è "il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori". Al primo posto c'è sempre "l'interesse del minore" a "vedersi riconoscere lo stato di figlio della madre biologica, che lo ha partorito, e di quella intenzionale, che abbiano condiviso l'impegno di cura nei suoi confronti".

Com'è nato il caso: dalla Corte d'appello di Brescia alla Corte costituzionale

Il caso era stato portato davanti alla Corte costituzionale, o Consulta, dalla Corte d'appello di Brescia. I giudici bresciani avevano chiesto se non fosse discriminatorio togliere questo diritto alle donne, ipotizzando che così si violassero due punti della Costituzione: l'articolo 3, sull'uguaglianza, e l'articolo 117, sugli obblighi internazionali (visto che c'è una direttiva europea che riguarda la parità di trattamento tra i genitori in materia di lavoro, e quindi anche di congedi).

All'origine di tutto c'era l'azione di un'associazione legale che tutela i diritti delle persone Lgbt+, Rete Lenford, che aveva denunciato l'Inps perché non permetteva alle madri intenzionali di ottenere il congedo di paternità. Il problema era che il sistema informatico dell'Inps non permetteva di inserire i codici fiscali di due donne nella richiesta di congedo, anche se queste erano ufficialmente registrate come genitori per lo Stato.

Dopo la decisione di primo grado che aveva dato ragione a Rete Lenford, l'Inps aveva fatto ricorso in appello. A quel punto la Corte d'appello di Brescia aveva chiamato in causa la Corte costituzionale, che con la sentenza depositata oggi ha deciso.

"La Corte Costituzionale ha finalmente riconosciuto un diritto fondamentale per le famiglie omogenitoriali: quello di poter stare vicino ai propri figli nei loro primi giorni di vita. È la fine di una discriminazione ingiusta e crudele", ma anche "uno schiaffo importante, per il governo Meloni, che da quando si è insediato ha condotto una vera e propria crociata contro le famiglie arcobaleno", ha commentato Alessandro Zan, eurodeputato e responsabile Diritti per il Pd. "La Consulta ha finalmente sancito ciò che per noi era già chiaro da tempo: i diritti non possono avere sesso né pregiudizi. Noi continueremo a batterci in Parlamento affinché la legge italiana si metta finalmente al passo con la società, riconoscendo pari diritti a tutti i bambini e a tutti i genitori, senza più serie A e serie B", ha dichiarato Alessandra Maiorino, senatrice M5s.

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