Almasri non è più capo della sicurezza libica per crimini di guerra: oggi voto su Piantedosi, Nordio e Mantovano

Osama Njeem Almasri, figura chiave dell'apparato di sicurezza libico, è stato rimosso dal suo ruolo di direttore delle operazioni e della sicurezza giudiziaria presso l'Agenzia di Polizia Giudiziaria. La notizia è stata riportata dal portale libico al Masdar, che cita fonti ufficiali.
La decisione è arrivata in un contesto di forti pressioni internazionali, come quella della Corte Penale Internazionale (CPI), che accusa Almasri di essere responsabile di torture sistematiche, sparizioni forzate e altri crimini contro l'umanità, commessi in centri di detenzione come la prigione di Mitiga, tristemente nota per le violazioni dei diritti umani. A firmare la sua destituzione è stato il capo dell'Agenzia, generale Abdul Fattah Dabub, che avrebbe nominato al suo posto il generale Sulaiman Ajaj; secondo fonti vicine al Ministero della Giustizia libico, il cambio si inserisce in un piano di riforma volto a "migliorare l'efficienza dei servizi giudiziari" e a "ripulire l'immagine del sistema penitenziario", associato ad abusi e violenze sistematiche.
La connessione italiana: il caso Almasri arriva in Parlamento
Parallelamente alla sua rimozione in Libia, il nome di Almasri continua a essere al centro del dibattito politico e giudiziario italiano; questo perché l'uomo è stato arrestato in Italia nel 2023, ma poi rapidamente riconsegnato alle autorità libiche, nonostante fosse attivamente ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Proprio su questa controversa gestione si concentra ora l'attenzione della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati, che oggi è chiamata a esprimersi sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di tre esponenti del Governo: Carlo Nordio, ministro della Giustizia, Matteo Piantedosi, ministro dell'Interno e Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Secondo l'accusa, i tre avrebbero agito in modo da favorire il rientro di Almasri in Libia, violando così il principio di cooperazione internazionale nella repressione dei crimini più gravi e ignorando deliberatamente un mandato di arresto internazionale.
La relazione di Gianassi: "Non fu un atto di Stato, ma opportunismo politico"
Il relatore della Giunta, Federico Gianassi, del Partito Democratico, ha depositato una relazione molto dura, nella quale invita a concedere l'autorizzazione a procedere nei confronti dei tre membri dell'esecutivo. Secondo Gianassi, non vi sarebbe alcuna evidenza che i ministri e il sottosegretario abbiano agito per proteggere un interesse costituzionalmente rilevante o un interesse pubblico preminente, come richiesto dalla legge costituzionale per escludere la responsabilità penale di un ministro. Al contrario, la ricostruzione offerta nella relazione parla di scelte politiche dettate da pressioni esterne, probabilmente da parte di gruppi armati libici, e di un cedimento alle logiche della realpolitik, a scapito degli impegni assunti dall’Italia sul piano internazionale nella lotta ai crimini di guerra.
Tra i punti più critici sottolineati da Gianassi, c'è infatti la mancata collaborazione con la Corte Penale Internazionale, l'assenza di prove concrete su un reale pericolo per la sicurezza nazionale e la volontà di nascondere la natura politica della decisione, definita "un calcolo politico censurabile". Gianassi sottolinea poi anche che l'Italia, con questa decisione, avrebbe compromesso la propria credibilità internazionale e indebolito il sistema di cooperazione globale contro l'impunità.
La difesa della maggioranza: "Agirono nell'interesse nazionale"
La maggioranza di Governo, tuttavia, respinge con forza le accuse e difende l'operato di Nordio, Piantedosi e Mantovano. Secondo i loro sostenitori, infatti, la riconsegna di Almasri sarebbe stata motivata dalla necessità di tutelare la sicurezza nazionale e da valutazioni legate alla stabilità delle relazioni con la Libia; da questo punto di vista, l'esecutivo avrebbe agito nell'ambito delle proprie prerogative, esercitando un giudizio politico su un caso particolarmente delicato. Non ci sarebbero quindi gli estremi per procedere penalmente contro i tre membri del Governo, poiché, secondo la loro linea, avrebbero agito perseguendo un interesse pubblico superiore, come previsto dall'art. 9 della legge costituzionale 1/1989.
Cosa succede ora
Il voto di oggi in Giunta per le autorizzazioni rappresenta solo il primo snodo parlamentare. Nei prossimi giorni, la decisione passerà all'Aula della Camera, che sarà chiamata a confermare o respingere l'esito espresso dalla Giunta.
Si prevede un confronto acceso tra maggioranza e opposizione, sia sul piano giuridico che politico: al centro del dibattito ci sarà una questione cruciale, fino a che punto il Governo può sacrificare il rispetto degli obblighi internazionali in nome della sicurezza nazionale o di interessi strategici?