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Caso Almasri

Almasri, il piano del governo per blindare la capo di gabinetto di Nordio Giusi Bartolozzi

La capo di gabinetto di Nordio Giusi Bartolozzi non è una ministra e sul suo fascicolo sarà la giustizia ordinaria a procedere. Per questo motivo il governo sta valutando di ricorrere alla Corte costituzionale per blindare la magistrata, estendendole le stesse protezioni “parlamentari” riconosciute agli altri membri dell’esecutivo.
A cura di Giulia Casula
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Le indagini sulla capo di gabinetto del ministro Nordio, Giusi Bartolozzi agitano la maggioranza. La magistrata è stata indagata per false dichiarazioni ai pm nell'ambito del caso del torturiere libico Almasri, arrestato il 19 gennaio in Italia, ma liberato e rimpatriato pochi giorni dopo su un volo di Stato. Il suo fascicolo però, resta slegato da quello che riguarda i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, su cui si attende il termine dei lavori da parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere e su cui sarà il Parlamento (dove la maggioranza è compatta) a pronunciarsi.

Su Bartolozzi sarà la giustizia ordinaria a procedere ed è per questo che il governo sta valutando i modi in cui blindare la capo di gabinetto di via Arenula, estendendo le stesse protezioni riconosciute agli altri membri dell'esecutivo. L'idea è quella di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale per riuscire a collegare il reato per cui è indagata con quelli contestati a Nordio.

Bartolozzi infatti, non è una ministra e dunque non gode dello scudo parlamentare, che prevede il passaggio in Parlamento in caso di richiesta di rinvio a giudizio. Su Nordio, Piantedosi e Mantovano, a cui vengono contestate le accuse di peculato, omissione di atti d'ufficio e favoreggiamento, saranno le aule parlamentari a decidere se autorizzare il Tribunale dei ministri, competente per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, a procedere. L'autorizzazione richiede una maggioranza assoluta e con ogni probabilità, verrà bocciata in Parlamento, dove Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia si sono schierati chiaramente a difesa dell'operato del governo. Con il voto negativo dell'Aula, la vicenda almeno dal punto di vista giuridico verrebbe conclusa.

Ma nel caso di Bartolozzi le cose potrebbero andare diversamente. Come dicevamo, la Procura di Roma ha iscritto il suo nome nel registro degli indagati per false dichiarazioni ai pm sul caso del generale libico e di lei si occuperà la magistratura ordinaria. Sul ruolo della capo di gabinetto, che sarebbe stata a conoscenza della vicenda Almasri sin dal giorno del suo arresto e avrebbe informato a riguardo Nordio, gli inquirenti vogliono vederci chiaro e individuare le eventuali responsabilità.

Il filone d'inchiesta che la riguarda dunque, potrebbe procedere spedito e senza gli "ostacoli" previsti nei casi dei tre membri di governo. Così per protegger Bartolozzi, Palazzo Chigi sarebbe pronto a ricorrere alla Consulta per far riconoscere le accuse come reati "in concorso" e dunque connesso a quelli per cui è indagato il Guardasigilli. Un'escamotage che farebbe passare in automatico il suo fascicolo nelle mani del Tribunale dei ministri, estendendo alla donne le garanzie parlamentari.

Ad avanzare l'ipotesi è stato il deputato di FdI Dario Iaia nel dibattito interno alla Giunta plenaria per le autorizzazioni, che si è riunita ieri. La strada tuttavia, non sembra facilmente percorribile. Si tratta di "una questione che al momento non esiste in questo organismo parlamentare", ha chiarito il presidente Devis Dori (Avs). "Quando ci sarà l’ufficialità rifletteremo sulla questione del concorso",ha spiegato. "Se il reato per cui è indagata il capo della segreteria del ministro Nordio è esclusivamente il 371 bis del codice penale, cioè le false informazioni, lo stesso reato sarebbe autonomo rispetto a quelli che riguardano i ministri e il sottosegretario, quindi non sussisterebbe alcun concorso. La legge parla solo di concorso e non di connessione", ha aggiunto. Insomma i reati resterebbero separati e il piano del governo di rimettere la questione al Tribunale dei ministri sarebbe destinato a fallire.

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