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Sudan e Gaza: l’auto racconto dei criminali di guerra

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L'orrore ha due nomi e due geografie: Gaza e Sudan. Se l'attenzione mediatica internazionale si concentra comprensibilmente sul Medio Oriente, quanto sta accadendo in Sudan, e in particolare la caduta di città strategiche come Al-Fashir dopo 18 mesi di assedio, è altrettanto atroce e merita un'analisi urgente. Lì, il conflitto vede due eserciti opposti in una dinamica di guerra "classica", seppur brutale, tra poteri locali. Ma prima di addentrarci nei dettagli di questa tragedia, è fondamentale fermarsi a riflettere su un elemento comune che sta ridefinendo ogni conflitto contemporaneo: l'auto-narrazione della guerra.

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Il Genocidio in Video-Selfie

La guerra in Sudan è stata a lungo un "conflitto dimenticato", reso invisibile dalla distanza geografica e culturale, oltre che dalla deliberata chiusura dei contatti esterni e degli aiuti umanitari. Ora, però, arrivano a ondate video e auto-documentazioni delle violazioni. Stiamo assistendo a un agghiacciante auto-racconto dei crimini: uccisioni di massa, stupri, decapitazioni e corpi ammassati.

Questi filmati non sono opera di giornalisti esterni – pochi e tardivi, data la pericolosità della zona – ma provengono direttamente da chi li commetto, le Forze di Supporto Rapido (RSF), le milizie paramilitari che si stanno macchiando di una vera e propria pulizia etnica contro la popolazione sub-sahariana, definita apertamente "schiava".

Questo fenomeno è la nuova, distorta frontiera del racconto bellico. Le atrocità non vengono più solo subite e testimoniate, ma anche rivendicate e spettacolarizzate dagli aggressori stessi attraverso i canali digitali.

L'Oscenità del Crimine Condiviso

L'auto-narrazione dei crimini di guerra non è un'esclusiva del Sudan. L'episodio richiama alla mente i video di soldati israeliani a Gaza: i selfie sorridenti davanti alle case palestinesi demolite, l'uso provocatorio degli indumenti intimi delle donne, o, ancora più disturbante, la raccolta di scatti geolocalizzati sulle app di dating (come documentato dal fotografo Federico Vespignani).

In questi contenuti, soldati e miliziani trasformano il fronte in un palcoscenico per la loro brutalità, usando i social non solo per comunicare ma per normalizzare la violenza estrema. Essere un torturatore, un abusatore, un assassino, diventa un badge da ostentare in chat private (WhatsApp, Telegram) o su piattaforme pubbliche.

Da un lato, queste "prove digitali" diventano un'arma cruciale per la giustizia internazionale, permettendo di identificare i responsabili (come avvenuto con alcuni soldati israeliani). Dall'altro, svelano come la società dell'immagine e della condivisione in tempo di pace abbia plasmato una nuova mentalità del conflitto: l'atrocità è un contenuto, la distruzione un selfie opportunity.

La Voce Indipendente dell'Oppresso

In questo contesto, cambia anche la narrazione delle vittime. Mentre le grandi testate occidentali faticano ad accedere alle zone calde, emerge la figura del giornalista indipendente o freelance, spesso del luogo. A Gaza, reporter come Motaz Azaiza sono diventati figure globali, utilizzando principalmente Instagram e TikTok per aggirare la censura e la scarsità di redazioni, trasformandosi in protagonisti e testimoni diretti della loro stessa sofferenza.

Questa è la duplice eredità dei social media nella guerra: sono lo strumento che veicola la propaganda atroce dei carnefici, ma anche l'unica finestra di verità per gli oppressi.

La riflessione che il Sudan ci impone non riguarda solo la dinamica militare tra due fazioni, ma il profondo cambiamento nella natura stessa del racconto bellico. La guerra non si combatte più solo sul campo, ma anche sulla cronaca immediata e auto-prodotta, trasformando ogni violazione dei diritti umani in un video virale. E in questa distopia digitale, l'indifferenza del mondo diventa un silenzio ancora più assordante.

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Il podcast daily di Valerio Nicolosi per Fanpage.it: ogni mattina alle 7, una finestra sul mondo per capire cosa davvero sta accadendo. Politica estera, conflitti internazionali, migrazioni, politica interna e tematiche sociali raccontate dal giornalista con chiarezza e approfondimento. Con la voce di esperti e reportage direttamente dal campo - Palestina, Ucraina, Mediterraneo, Africa, Stati Uniti, America Latina e molto altro - SCANNER porta le storie dove accadono, per offrirti ogni giorno un’informazione completa, immediata e dal vivo.

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