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I carri armati israeliani sono entrati a Gaza nella serata di ieri, con notizie che arrivano ancora a pezzi. Il genocidio a Gaza prosegue e, mentre i bombardamenti su Gaza City sembrano non conoscere sosta, sono state sfollate con la forza 300.000 persone.
Ieri, i giornali italiani mostravano l'immagine di un carrista dell'IDF che invocava la protezione di Dio prima di iniziare l’operazione di terra a Gaza City. Questo gesto è stato presentato come un'espressione di empatia umana, come se la divinità potesse essere d'accordo con il genocidio che lui e il suo Stato stanno compiendo.
Ricordo che meno di un mese dopo il 7 ottobre 2023, un giornale italiano parlava già di "corridoi umanitari" organizzati dall'esercito israeliano per spostare le persone in sicurezza verso sud. Quello fu il primo sfollamento forzato, e l'inviato di quel giornale abbracciava in pieno la retorica e le parole israeliane.
Ciò che sta avvenendo oggi è una nuova Nakba. Nel 1948, 700.000 palestinesi furono sfollati, cacciati dalle loro case. Oggi a Gaza i numeri sono ben più alti: si parla di poco meno di 2 milioni di persone che saranno confinate in un grande campo profughi, o meglio, di concentramento, dove non potranno fare altro che chiedere di andare via, se mai l'Egitto dovesse riaprire i valichi.
La nuova Nakba, però, si manifesta anche in Cisgiordania, dove ogni giorno e ogni notte coloni e soldati occupano terre e case, allontanando i legittimi proprietari. Questo è successo anche recentemente al premio Oscar Basel Adra, regista di No Other Land, che ha visto accadere ciò che lui stesso descrive in modo così efficace nel suo film.
Siamo di fronte a una catastrofe, che in arabo si dice Nakba, e il mondo continua a guardare dall'altra parte, parlando di geopolitica anche al bar. Il problema è che abbiamo studiato troppe cartine geografiche dimenticando che in quelle terre vivono persone con diritti, esattamente come noi.
L'isolamento di Israele sul piano internazionale
In tutto questo, Israele non è mai stato così solo. Nella giornata di ieri, i Paesi arabi hanno chiesto una revisione dei rapporti con Israele e, nella dichiarazione finale della riunione dei Paesi arabi e musulmani, si è parlato della necessità di una difesa comune. Al Jazeera ha riportato indiscrezioni sulla riunione e la dichiarazione finale pubblica. Gli Accordi di Abraham appaiono ormai distanti, e i recenti tempi di normalizzazione dei rapporti con i sauditi e altri emirati sembrano lontanissimi. Più che le decine di migliaia di morti (anche se il numero esatto, probabilmente centinaia, dovrà essere confermato dai dati ufficiali), il bombardamento di Doha ha segnato uno spartiacque nei rapporti con i Paesi del Golfo e con il mondo arabo in generale.
Anche i rapporti tra Turchia e Israele, storicamente ambigui e spesso tesi, sono giunti a un punto di rottura. Oggi, Erdogan ha innalzato barriere importanti, non solo negando lo spazio aereo agli aerei israeliani, ma anche interrompendo ogni rapporto economico. Questa mossa è stata discussa anche nella riunione di ieri dei Paesi arabi e musulmani, che hanno compreso come tutti siano potenziali nemici e che, dopo quanto accaduto al Qatar e al Libano, non si sa chi sarà il prossimo.
A complicare la situazione è arrivata una notizia da Axios: l'agenzia di stampa ha riferito che Israele avrebbe avvertito gli Stati Uniti prima del bombardamento, con fonti che confermerebbero l’informazione. Questo scombina i piani di Trump, viste le sue recenti dichiarazioni concilianti con il Qatar, un alleato politico e diplomatico strategico e importante nell'area.
Dal Times of Israel, invece, si legge che Netanyahu ha dichiarato che Israele è più isolato che mai e deve puntare all'autosufficienza, parlando di una "nuova Sparta" circondata da nemici che deve cavarsela da sola. Un Paese isolato e in uno stato di guerra permanente.