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"Se il mio paese andasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei, quanto sei d'accordo con questa affermazione?". Questo è una delle domande rivolte a circa 4.000 adolescenti per la "consultazione pubblica sul futuro" dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, ed è il sintomo più evidente di una normalizzazione della guerra che pervade ormai stampa e politica.
Aveva visto lungo Michela Murgia preoccupandosi del linguaggio marziale del generale Figliuolo durante la pandemia; oggi quel registro ha fatto un salto di qualità. Dai kit di sopravvivenza esibiti sui social da commissarie UE ai carri armati nelle scuole di Udine, la propaganda bellica ha varcato la soglia dei luoghi di istruzione e del tessuto sociale.
Marina Terragni, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ha rigettato le accuse rivolte al test, dichiarando che l'organismo è indipendente e la domanda anzi, veniva rivolta ai ragazzi e ragazze da Mao Valpiana, leader del movimento non-violento. Il tema politico però resta, soprattutto in questo momento di riarmo globale, anche della società civile.
Il ritorno della leva militare
Eppure, la narrazione militarista trova un ostacolo imprevisto proprio nei destinatari: il 68% dei giovani ha risposto “no”. Un dato in controtendenza con i piani di chi, come il Ministro Crosetto, invoca 10.000 nuovi operativi per una leva militare volontaria che andrebbe a formare una riserva, pronta in caso di guerra.
L’Italia non è sola in questa nuova fase in cui gli eserciti non devono essere più piccoli e iper-tecnologici: dal 1 gennaio 2026 la Croazia ha reinserito la leva obbligatoria, anche se per pochi mesi, mentre Paesi come la Svezia, Lettonia e Lituania lo hanno già fatto negli anni scorsi. Il continente sembra quindi prepararsi al peggio: Francia e Germania pianificano la conversione di ospedali e autostrade per priorità belliche, con Berlino pronta a diventare hub logistico NATO in vista di quel conflitto su vasta scala contro la Russia, evocato di recente da Mark Rutte e che secondo i servizi britannici dovrebbe avvenire entro il 2035.
Putin ha rilanciato definendo "maiali" i leader europei e ha dichiarato che il Donbass sarà preso con la forza.
La politica italiano e le azioni contro la guerra
Di fronte a questo scenario, la politica italiana appare frammentata: Salvini evoca i fallimenti di Napoleone e Hitler in Russia, dichiarando che se hanno perso loro questa Europa non può vincere, Tajani invece spinge per l'invio di armi in piena linea con il PPE, Meloni tenta un difficile equilibrismo escludendo l'impiego di truppe.
Ma la vera risposta concreta al riarmo globale arriva dalle piste dell'aeroporto civile di Montichiari. Lì, operai e il sindacato USB hanno bloccato il transito di armi, seguendo l'esempio dei portuali di Genova e Ravenna.
Contro la corsa al riarmo guidata da Polonia e Germania, che rievoca la corsa agli armamenti pre-Prima Guerra Mondiale, praticare la pace e chiedere il disarmo globale resta l'unica via pragmatica. Lungi dall'essere un'illusione adolescenziale, è l'atto politico più lucido per evitare che la storia si ripeta.
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