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La grazia è un provvedimento individuale, che solo il capo dello Stato può riconoscere a un condannato e che è prevista dalla Costituzione. Ieri Sergio Mattarella ha graziato cinque persone e alcuni casi hanno fatto più discutere di altri. In particolare due: quello dell’uomo che aveva soffocato nel sonno la moglie, malata terminale, per cui è stato riconosciuto lo stato di “amore pietoso” che aveva portato l’uomo a compiere quel gesto, e poi quella di Abdelkarim Alla F. Hamad, meglio conosciuto come Alaa Faraji. Il suo nome è associato alla strage di Ferragosto, cioè a quella traversata del Mediterraneo, in una notte di dieci anni fa, in cui persero la vita 49 persone.
Chi è Alaa Faraji, graziato da Mattarella
Alaa non aveva nemmeno vent’anni, studiava ingegneria e faceva il calciatore in Libia. Sognava una vita migliore di quella che poteva avere nel suo Paese, travolto dalla guerra civile. E allora era partito anche lui, a bordo di un barcone, nel tentativo di arrivare in Europa. Un barcone che è effettivamente arrivato a destinazione, alle coste italiane il 15 agosto 2015. Però con 49 persone morte a bordo, soffocate nella stiva. I corpi sono stati scoperti solo all’arrivo. Alaa, insieme ad altri ragazzi libici, è stato identificato come lo scafista e condannato a 30 anni, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per omicidio plurimo. Perché appunto in quella traversata sono morte 49 persone per asfissia.
La condanna è arrivata sulla base di testimonianza ambigue, alcune anche ritrattate comprensibilmente, visto che sono state raccolte da persone in stato di shock. Però, per aver guidato quel barcone con il quale lui stesso stava fuggendo dal suo Paese, Alaa è stato condannato. Oggi ha 30 anni, ne ha già scontati una decina in carcere a Palermo. Nel frattempo ha imparato l’italiano, si è messo a studiare e ha anche scritto diverse lettere che poi sono state raccolte in un libro.
Condannato a 30 anni: lo sconto di pena
Matterella gli ha concesso una grazia parziale, dimezzando gli anni che ancora dovrà trascorrere dietro le sbarre. Con questo sconto di pena potrà anche accedere alle alternative, come la semilibertà. Il Quirinale ha spiegato che questo provvedimento di Mattarella ha tenuto conto di diverse cose, oltre che chiaramente il parere favorevole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Tra queste ci sono la giovane età del condannato al momento dei fatti, il fatto che in questo lungo periodo di detenzione sia stata data prova di un percorso di recupero, e anche del contesto “particolarmente complesso e drammatico” in cui si è verificato il reato.
Ed è esattamente di questo che è importante parlare. Perché c’è un'enorme confusione tra scafisti e trafficanti. Si tende a semplificare, a individuare un colpevole e addossargli tutta la responsabilità di un fenomeno estremamente più grande e sfaccettato. E dal 2015 le cose sono anche peggiorate, basti pensare al decreto Cutro che ha introdotto un nuovo reato proprio per punire gli scafisti, andandoli a acciuffare per tutto il globo terracqueo. Ma, appunto, si parte da una premessa sbagliata: quella per cui la persona che ha in mano il timone, lo scafista, sia anche il trafficante.
Chiaramente così è più semplice, si crea l’illusione di contrastare i traffici, di gestire il fenomeno migratorio arginando le persone che mettono le vite umane a rischio. Ma è pura demagogia, pura propaganda che non considera la complessità di un fenomeno come quello migratorio.
Trafficante e scafista, perché non è la stessa cosa
Alcuni anni fa Alarm Phone e l’Arci di Palermo avevano pubblicato un report che si chiamava “Dal mare al carcere” e spiegava proprio come spesso gli stessi scafisti fossero vittime della tratta. Alcune volte sono migranti normalissimi, come tutti gli altri, che vengono costretti a prendere in mano il timone, anche dietro minacce. Il trafficante non si imbarcherebbe mai, non metterebbe mai a rischio la propria vita, andando in mare su una barchetta fatiscente. E così, con la forza, costringe qualcuno a guidarla. A volte quel qualcuno viene scelto perché sa in effetti manovrare una barca, magari è un pescatore, ma altre volte è una decisione completamente arbitraria.
In altri casi chi sa guidare una barca ma non ha i soldi per pagare il viaggio, si offre come scafista in cambio della traversata. Altre volte ancora non c’è proprio una persona designata e così qualcuno si fa avanti volontariamente in caso di necessità, perché magari la barca sta andando alla deriva o sta per imbarcare acqua: ecco magari a volte quella persona salva la vita dei suoi compagni di viaggio, ma basta che qualcuno lo indichi come colui che era al timone, una volta arrivati, e quella persona viene processata per traffico di esseri umani.
In ognuno di questi casi lo scafista non ha nulla a che vedere con l’organizzazione criminale che gestisce i traffici. Certo, ci sono anche i casi in cui lo scafista è parte, e fa la spola tra il Paese di partenza e l’Europa, però solitamente non arriva fino alla costa, non sbarca, appunto per paura di essere catturato.
Criminalizzare gli innocenti non serve a nulla
In moltissimi casi viene criminalizzato un innocente, solo perché aveva in mano il timone al momento dello sbarco. Ma questo, oltre a essere ingiusto e miope, perché non tiene minimamente conto della complessità del fenomeno migratorio, è anche abbastanza inutile, nell’ottica di smantellare i traffici.
Stella Arena, è un’avvocata dell’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e ci ha spiegato come sia fondamentalmente un errore confondere gli scafisti con i trafficanti e pensare di gestire un fenomeno così complesso con strumenti giuridici, che nemmeno riconoscono le differenze più basilari.
La politica spesso fa confusione tra le due figure, quella del trafficante di esseri umani e il facilitatore, lo smuggler. La politica fa confusione perché vuole gestire il fenomeno migratorio con il diritto penale. Ma il diritto penale, se si rispetta anche il principio di sussidiarietà, non è il diritto ideale per gestire fenomeni epocali come quelli migratori. Di fatto si cerca una persona a cui addebitare tutta la problematica: questa persona è lo scafista.
Le convenzioni internazionali, se pensiamo ad esempio ai protocolli di Palermo, sono chiare: c'è un protocollo per la tratta di esseri umani, e un altro che si occupa dello ‘smuggler'. Anche in Italia le norme sono chiare: ci sono quelle che puniscono il traffico di esseri umani, dove il bene tutelato dalla norma è la persona trafficata, e poi ci sono quelle che tutelano i confini. È questo che viene contestato agli scafisti, ma nonostante ciò sia nelle aule giudiziarie che nelle stanze dove si forma l'opinione pubblica, queste figure vengono sovrapposte.
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