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Putin dice che gli ucraini si devono ritirare dal Donbass, altrimenti se lo prenderà con la forza

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“La Russia libererà il Donbass con i mezzi militari o con altri mezzi. Ma tutto si riduce a questo: o le truppe ucraine lasceranno questi territori e smetteranno di combattere, oppure li libereremo con la forza”. Queste sono le parole di Vladimir Putin. Parole chiare, che non lasciano spazio a dubbi. Che non dovremmo cercare di interpretare. Quello che dice il presidente russo è chiaro: non si fermerà fino a quando non si sarà preso tutto il Donbass, in un modo o nell’altro. Non c’è alcuno spazio per i negoziati: Putin accetterà solo una resa, da parte di Kiev, nient’altro. Ed è ora che anche la Casa Bianca se ne renda conto.

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La presa in giro non è nemmeno più mascherata, ormai è chiaro a tutto. Ma Putin comunque ci prova a intortarsi Donald Trump. Dall’India, dove era oggi, ha detto che in effetti “cercando sinceramente di trovare una soluzione consensuale al problema ucraino, ma questo compito non è facile”. Ha anche detto che quella che si è assunto Trump è una missione difficile, ma il presidente sta cercando sinceramente di riuscirci.

Trump continua a cadere negli imbrogli di Putin

E nonostante questa clamorosa presa per i fondelli, Trump continua ad affermare che Putin voglia la pace. L’altro giorno si è fatto sfuggire che “la situazione in Ucraina è un casino”, ma poi ha anche detto – parlando con i giornalisti dallo Studio Ovale – di credere che Putin voglia la pace, voglia porre fine alla guerra e tornare a una vita normale. Credere una cosa del genere è semplicemente follia.

L’incontro tra l’inviato speciale Steve Witkoff con il presidente russo e la sua delegazione a Mosca sarebbe andato bene, secondo quello che racconta la Casa Bianca, che però non ha rivelato i dettagli, non ha raccontato cosa si sono dette le due parti e se siano stati fatti dei passi avanti rispetto al piano di pace proposto da Washington. La parte russa, però, qualcosa l’ha detto e ha continuato a definire inaccettabili le condizioni poste dalla Casa Bianca, in particolare per quanto riguarda i territori occupati.

L'Europa e l'Ucraina restano ai margini

Mentre si svolgeva questo incontro, saltava invece quello con Zelensky in Ucraina, che si sarebbe dovuto svolgere sempre con Wikoff e Jared Kushner, il genero di Trump, di ritorno da Mosca. Alla fine non c’è stato alcun faccia a faccia, anche se oggi a Miami c’è stato un nuovo round di colloqui con la delegazione ucraina, capitanata da Rustem Umerov.

In tutto questo l’Europa rimane marginale, anche se la guerra in Ucraina continua a essere un grande tema di dibattito – e di litigio – politico. È così in Italia, dove la maggioranza ha ricominciato a litigare sulle armi da mandare a Kiev. A frenare è sempre la Lega. Il capogruppo dei leghisti in Senato, Massimiliano Romeo, ha detto: “Un conto è difendere l’Ucraina, altra cosa è alimentare una guerra: sulle armi a lungo raggio siamo contrari. In questa fase serve un provvedimento che guardi alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina nell’ambito del piano di pace degli Stati Uniti. Una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale”.

Le polemiche nel governo per le armi a Kiev

Tradotto? Aspettiamo gli esiti dei negoziati, prima di stanziare risorse sulle armi da mandare in Ucraina. Un modo per prendere tempo, chiaramente. La Lega è sempre stata molto ambigua sul sostegno a Kiev, perché lo è sempre stata rispetto ai rapporti con Mosca. E sui pacchetti di armi si è sempre posta più in linea con il Movimento Cinque Stelle che con il resto della maggioranza. E lo ha fatto anche ora, mettendosi di traverso sul decreto che avrebbe dovuto prorogare il via libera all’invio di armi.

Come ogni anno, a dicembre questo decreto dovrebbe finire in Consiglio dei ministri ed essere approvato. Ma per il Cdm che era in agenda oggi, è stato cancellato dall’ordine del giorno. Giorgia Meloni, da parte sua, ha assicurato che entro il 31 dicembre si farà: “Noi lavoriamo per la pace ma finché ci sarà una guerra faremo quello che possiamo fare, come abbiamo sempre fatto, per aiutare l’Ucraina. Il decreto sarà fatto perché serve. Non vuol dire lavorare contro la pace”.

La polemica con la Lega

Meloni ha cercato di abbassare i toni, dicendo che il rinvio è solo una questione logistica. Ma è più probabile che si stia cercando di evitare lo scontro con gli alleati, soprattutto in un momento di forte polemica. Ad esempio anche per le parole del presidente del comitato militare della Nato, l’ammiraglio Cavo Dragone, che in un’intervista al Financial Times aveva parlato di essere più aggressivi nei confronti della Russia, magari anche con un attacco preventivo. Cavo Dragone stava parlando di attacchi ibridi, di cybersicurezza, non di mandare i carri armati europei in Russia, ma comunque le sue parole hanno creato scompiglio.

Soprattutto tra i leghisti. Salvini ha detto che “a leggere i giornali c’è chi ha voglia di nuove guerre” e che questo non è il suo interesse. La stessa Melini ha commentato sottolineando che “bisogna misurare molto bene le parole, evitare tutto quello che può generare confusione, che può far surriscaldare gli animi”

Animi che, nella maggioranza, sembrano già di per sé abbastanza caldi.

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