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Perché l’Italia ha bisogno di uno scudo spaziale da oltre 4 miliardi, secondo il ministro Crosetto

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Una riorganizzazione totale della nostra Difesa, in modo da renderla “più adeguata ai rischi attuali”. Il ministro Guido Crosetto ha detto di voler portare in Parlamento – all’inizio dell’anno prossimo, tra gennaio e febbraio – il tema di una riforma a 360 gradi del settore della Difesa, in modo da renderci pronti a gestire eventuali minacce. È una cosa che ci diciamo da un po’ di anni, ormai: il contesto geopolitico è profondamente cambiato dall’aggressione della Russia all’Ucraina e questo riscrive le regole dello scacchiere internazionale.

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Crosetto, che prima è intervenuto davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato e poi ha partecipato al Defense Summit – ha spiegato che c’è bisogno di cambiare un po’ le leggi, perché c’è la necessità di fare delle cose che prima non erano normali. Perché fino a qualche anno fa il primo tema del dibattito pubblico e politico non era certo la difesa missilistica o il dominio spaziale.

Lo scudo spaziale da 4,4 miliardi

E a proposito di sistemi spaziali, per Crosetto l’Italia si deve costruire uno scudo, un dome nazionale. Un sistema che non abbiamo mai avuto, ma che a questo stato di cose per il ministro è irrinunciabile. Di cosa si tratta? Sarebbe un sistema spaziale per l’allarme missilistico: quindi radar avanzati, caccia di nuova generazione, anti droni, batterie Samp-T nex generation.

Per fare questo sono stati stanziati 4,4 miliardi di euro. Un progetto che sembrerebbe anche in linea con il Michelangelo Dome presentato recentemente da Leonardo, la principale azienda produttrice di armi e di sistemi di difesa in Italia. Crosetto del resto ha sottolineato chiaramente che serve una riforma ampia, quindi che tenga anche in considerazione il mondo dell’impresa, quello della ricerca, che coinvolga il sistema-Paese.

Ecco, in questa riforma trova spazio anche un ritorno della leva militare volontaria: avere giovani in servizio per un anno o due per “aumentare le forze armate e la loro qualità utilizzando anche competenze che si trovano sul libero mercato e non tra i militari”, ha spiegato Crosetto.

La riforma della Difesa

All’inizio del 2026 il ministro presenterà in Parlamento questa nuova organizzazione della Difesa che, sempre per dirla con le sue parole, punta a costruire un Paese in cui “l’industria, l’università e la difesa sono tutt’uno”.

Nel frattempo, però, sempre per quanto riguarda il comparto militare, ci sono altre priorità da affrontare. L’aumento della spesa militare che ci chiede la Nato, che si vedrà nei prossimi bilanci, e la questione delle armi all’Ucraina.

La Lega è riuscita a far togliere il provvedimento per prorogare il via libera all’invio di armi a Kiev dall’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di ieri, ma lo scontro è solo rimandato. Perché entro fine anno quel decreto va approvato. La maggioranza torna a litigare sul sostegno a Kiev. Il ministro Tajani ha ribadito che la politica estera è una competenza della presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri. Quindi sua e di Giorgia Meloni. Un chiaro messaggio a Salvini, di non impicciarsi in cose che non lo riguardano. Ci mancava solo un “tu pensa ai treni”.

Il decreto Armi

Anche l’anno scorso l’approvazione del decreto Armi era stata un percorso ad ostacoli e l’approvazione era arrivata a filo, nell’ultimo Cdm dell’anno qualche giorno prima di Natale, il 23 dicembre. Quest’anno poi la Lega ha un nuovo argomento per fare opposizione interna: le trattative sul piano di pace di Trump. Secondo i leghisti approvare un nuovo pacchetto di armi all’Ucraina nel contesto dei negoziati, che sappiamo essere estremamente complessi e delicati, rischia di mettere a repentaglio le trattative. Su questo però vanno fatte almeno tre precisazioni.

La prima: realisticamente, i negoziati di pace non dipendono dalle decisioni che fa l’Italia in materia di armi. Che il nostro Paese decida o meno di inviare armamenti e munizioni a Kiev, i negoziati vanno per la loro strada. Se fossimo gli Stati Uniti sarebbe un’altra cosa, ma il problema in questo caso non si presenta. Anche perché, e qui arriviamo alla seconda precisazione, Putin non ha intenzione di negoziare, indipendentemente da quello che gli alleati dell’Ucraina le mandano per sostenerla. Anche se tutta Europa interrompesse le forniture e Kiev restasse da sola a resistere, Putin non si fermerebbe.

Come stanno davvero le cose

Ieri, mentre era in visita in India, lo ha ribadito. Si prenderà il Donbass in un modo o nell’altro: o convincendo gli ucraini a ritirarsi, oppure con la forza. Ma se lo prenderà. C’è una parte che non vuole negoziare ed è quello l’elemento che pesa sulle trattative, non il sostegno all’altra parte, quella aggredita tra l’altro, che sia militare o economico. Per cui a minare i negoziati è il Cremlino, qualsiasi altra versione rischia solo di legittimare e amplificare la propaganda russa.

E infine, terza precisazione, questo decreto non riguarda un preciso pacchetto di armi da mandare a Kiev: è semplicemente l’autorizzazione a farlo, che dal 2022 viene prorogata di anno in anno, per permettere appunto di proseguire nel sostegno militare all’Ucraina. Al di là delle polemiche, anche quest’anno con ogni probabilità il decreto verrà approvato e la Lega dovrà arrendersi alla linea della sua stessa maggioranza. Ma, anche quest’anno, sempre con ogni probabilità, il partito di Salvini darà comunque battaglia fino all’ultimo.

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