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Le gemelle Kessler, Alice ed Ellen, avevano 89 anni quando hanno scelto di morire, insieme, nella loro casa in Germania, in una cittadina vicino a Monaco di Baviera. È stato poi il quotidiano Bild a confermare che si è trattato di un caso di suicidio assistito. Quando la polizia ha rinvenuto i due corpi senza vita è subito partita un’indagine, ma poco dopo il Bild ha dato la notizia, confermata poi anche da un’associazione tedesca per i diritti civili, a cui le gemelle Kessler si sarebbero rivolte per accedere alla pratica.
Non deve stupire. Nell’aprile 2024, poco più di un anno fa, le due donne avevano dichiarato sempre al Bild che avrebbero voluto essere sepolte nella stessa urna. E che avevano anche dato disposizioni in tal senso nel loro testamento. Le parole esatte al quotidiano tedesco erano state: “Unite nella morte, è così che vorremmo. Ed è ciò che abbiamo stabilito nei nostri testamenti”. Ma già nel 2012, oltre dieci anni fa, in un’intervista con Chi dicevano: “Se una di noi si ridurrà allo stato vegetativo, l'altra l'aiuterà a uscire di scena. Serenamente. Non sopporteremmo l'idea di vederci soffrire”.
La morte delle gemelle Kessler per suicidio assistito
Insomma, stando a queste dichiarazioni, quella di ricorrere al suicidio assistito e di farlo insieme sembra essere stata una scelta maturata da tempo. A raccontare quanto accaduto alla stampa poi è stata Wega Wtzel, la portavoce della Deutsche Gesellschaft für Humanes Sterben, cioè la principale organizzazione tedesca per i diritti civili, che offre appunto assistenza ai pazienti nell’accedere a pratiche come quella del suicidio assistito.
Una precisazione: in Germania la morte assistita è permessa da una sentenza della Corte costituzionale federale che risale al 2020, che ammette il diritto del singolo a una morte autodeterminata, ma a certe e precise condizioni. Insomma, c’è una situazione abbastanza simile a quella italiana: manca una legge, ma c’è una sentenza giuridica che dice che si può fare e fissa dei paletti, non sempre chiarissimi.
Come funziona la normativa in Germania
Comunque, grazie a questa sentenza le gemelle Kessler si sarebbero rivolte a questa associazione. E la portavoce ha spiegato che le due donne erano da mesi iscritte all’associazione e stavano considerando la scelta da diverso tempo. Avevano fatto dei colloqui preliminari con un medico e con un avvocato, necessario per stabilire la lucidità dei pazienti. Infatti la sentenza della Corte dice che può accedere al suicidio assistito solo chi ha capacità giuridica, chi agisce responsabilimente e di propria spontanea volontà. Bisogna in qualche modo certificare che non si tratti di una scelta impulsiva, ma ponderata e maturata nel tempo.
La portavoce di questa associazione ha anche spiegato che il medico e l’avvocato sono andati presso la casa delle gemelle per assisterle nel suicidio, secondo quanto prevede la sentenza: la procedura va infatti eseguita autonomamente, senza assistenza diretta da parte di terzi. Altrimenti diventerebbe eutanasia, e quindi non concessa. Wega Wetzel ha spiegato che il medico prepara l’infusione, per questo serve che sia presente, ma che poi deve essere il paziente ad aprire la valvola per autosomministrarsi il farmaco letale, che provoca l’arresto cardiaco. Come da protocollo poi viene chiamata la polizia.
Il dibattito sul fine vita in Italia
Ecco, questo è quello che sarebbe successo. In queste ore diversi media stanno discutendo molto dello stato di salute delle gemelle Kessler, del fatto che almeno una delle due stesse male, delle ragioni che possono aver spinto verso questa scelta. Ma si sta anche parlando del fatto che in Italia quello del fine vita è un dibattito ancora aperto. Che nonostante le sentenze, nonostante i tentativi di portare una legge in Parlamento, nonostante la mobilitazione della società civile, sull’autodeterminazione fino in fondo ancora ci sono mille ostacoli.
Basta una rapida ricerca online tra le notizie degli ultimi mesi per rendersi conto di quante persone stiano o abbiano tentato la strada del suicidio assistito, per porre fine a un’esistenza di sofferenze, che non consideravano più degna di essere vissuta. E ci si renderà presto conto di tutte le peripezie che rendono un percorso già di per sé incredibilmente delicato, ancora più difficoltoso.
Il problema è che manca una legge chiara. Come in Germania, anche in Italia il tutto è regolato da una sentenza – quella del 2019, sul caso di dj Fabo, che ha assolto Marco Cappato per aver portato l’uomo in Svizzera a morire – che però non è risolutiva. In quell’occasione i giudici hanno chiesto espressamente al Parlamento di fare una legge, seguendo determinate indicazioni e ponendo precisi paletti: però hanno detto chiaramente che serve una legge. Una legge che, ad anni di distanza da quella vicenda, ancora non abbiamo.
Il suicidio assistito, grazie alla sentenza, viene depenalizzato, ma senza una chiara legge che tuteli il diritto all’autodeterminazione, a decidere della propria vita fino alla fine, decine e decine di pazienti saranno costretti a rimanere in un limbo di indecisioni, di rifiuti da parte delle Asl, di attese interminabili.
La proposta di legge in Parlamento e le norme regionali
Oggi Riccardo Magi, segretario di +Europa e uno dei principali politici che si è battuto in questi anni per avere una legge sul fine vita, ha sottolineato l’urgenza di riaprire il dibattito. E ha puntato il dito contro la proposta di legge della maggioranza in Parlamento, definita come “un testo miope e peggiorativo rispetto ai paletti della Consulta”, attaccando al tempo stesso il governo che ha impugnato la legge regionale della Toscana, che definiva semplicemente i tempi delle procedure.
“La maggioranza non vede che la società e le persone non sono solo pronte, ma già si adoperano per farlo. Il fatto che simboli dell’Italia nazionalpopolare come Alice ed Ellen Kessler abbiano deciso di farvi ricorso dovrebbe risvegliare la coscienza di chi oggi si oppone a qualsiasi regolamentazione. Noi chiediamo una legge giusta, che rispetti la cornice indicata dalla Corte Costituzionali e che lasci libere le persone fino alla fine. Non accetteremo compromessi al ribasso che umiliano chi già soffre”.
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