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Perché è saltato l’incontro tra Trump e Putin a Budapest e come procedono le trattative sull’Ucraina

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L’incontro è saltato, non è più necessario che Donald Trump e Vladimir Putin si vedano di persona. Lo ha fatto sapere improvvisamente la Casa Bianca, alla vigilia di questo bilaterale che lo stesso Trump aveva annunciato appena la settimana scorsa dopo aver passato due ore al telefono con il presidente russo. La ragione ufficiale è che si sono parlati il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e il segretario di Stato statunitense, Marco Rubio: hanno avuto una conversazione produttiva, per cui un incontro aggiuntivo, di persona, non serve più, né tra Lavrov e Rubio, né tra Putin e Trump.

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Come si è arrivati all'incontro tra Trump e Putin

Le cose sono andate così. Dopo essere riuscito a concretizzare un accordo per il cessate il fuoco e per un percorso di pace in Palestina tra Israele e Hamas – nonostante tutti i problemi che sappiamo esserci, tra le violazioni continue della tregua e un piano neocoloniale per il futuro – Trump ha detto di voler ora chiudere anche la questione ucraina. Così ha telefonato a Putin e per circa due ore ha discusso dei negoziati di pace. Dopo aver messo giù la cornetta Trump ha detto di aver fatto enormi progressi e ha annunciato che avrebbe incontrato il presidente russo la settimana seguente, cioè domani, a Budapest.

Una precisazione: quello di domani avrebbe dovuto essere il secondo incontro tra Trump e Putin dopo quello di quest’estate, avvenuto appena due mesi fa, in Alaska. Un incontro da cui Trump se ne era uscito senza aver strappato alcuna concessione a Putin e le cose non sarebbero cambiate. Infatti Lavrov, dopo aver parlato con Rubio, ha detto che la posizione della Russia è sempre la stessa. Cioè che prima bisogna raggiungere un accordo di pace e solo dopo si può procedere con il cessate il fuoco – un punto a cui Zelensky si era fermamente opposto qualche mese fa, dicendo che intanto i russi avrebbero dovuto fermare i bombardamenti e solo a quel punto ci sarebbe potuto essere spazio per la diplomazia, per dei negoziati seri – e poi che il punto da risolvere rimanessero le “cause alla radice” del conflitto.

E qui c’è il problema di fondo. Perché per “cause alla radice” del conflitto, la Russia intende delle cose ben precise. Cioè la sovranità sulla Crimea così come sulle province del Donbass, la potenziale entrata di Kiev nella Nato, la legittimità del governo di Zelensky.

Donald Trump e la propaganda russa

Accettare questa propaganda, perché di propaganda russa stiamo parlando, come delle legittime condizioni da porre sul tavolo dei negoziati, vorrebbe dire accettare la resa dell’Ucraina. Ma non solo: vorrebbe dire accettare che il diritto internazionale non valga più niente, che la sovranità e l’integrità territoriale non siano più qualcosa di imprescindibile, che i governi democraticamente eletti si possano far cadere con la forza militare. Vorrebbe dire passare da un sistema di regole e norme riconosciute da tutti, basate su diritti e su valori condivisi, a un far west dove vale la legge del più forte.

Il punto è che in questo momento storico il presidente degli Stati Uniti, del Paese che per decenni abbiamo descritto come la più grande democrazia del mondo, abbraccia senza alcun problema il secondo modello. E più volte ha ripetuto, parola per parola, la propaganda di Putin.

Dopo averci parlato al telefono la settimana scorsa, ha ricevuto Zelensky alla Casa Bianca. E lo avrebbe spinto ad accettare le condizioni di Mosca per porre fine alla guerra. Ad arrendersi, se vogliamo dirlo senza girarci intorno.

Qual è la posizione dei leader europei

I leader europei – che in questi mesi qualcosa hanno imparato, su come trattare con Trump e la sua imprevedibilità – nei giorni scorsi hanno mantenuto un basso profilo. Ovviamente erano preoccupati che il presidente statunitense potesse volare a Budapest, incontrare Putin e fare un accordo sopra le loro teste, un accordo inaccettabile per Zelensky, ma anche per tutto quel sistema di regole e valori su cui si basa l’Unione europea e la comunità internazionale. Però non hanno condannato a priori l’incontro, cercando di opporsi e minacciando in gruppo, ad esempio, di arrestare Putin appena fosse entrato nello spazio aereo di un Paese Ue. Perché c’era anche quel punto da considerare: c’è un mandato di arresto della Corte penale internazionale che pende sulla testa di Putin, per cui ogni Paese che fa parte della Corte avrebbe potuto metterlo in atto nel momento in cui il presidente russo fosse entrato nel proprio territorio, anche aereo.

No, i leader di alcuni Paesi europei, tra cui anche Giorgia Meloni, hanno preferito sottoscrivere un comunicato congiunto insieme a Zelensky, in cui hanno ribadito di sostenere gli sforzi di Trump e di condividere la sua posizione per cui i bombardamenti devono finire immediatamente. Ma al tempo stesso hanno anche detto di sostenere quel principio per cui i confini internazionali non possono essere cambiati con la forza. In altre parole, non si possono cedere territori a un aggressore che ha provato a prenderseli usando la forza militare.

Di come procedere adesso tutti i leader europei dovranno discutere al Consiglio europeo di domani, in programma a Bruxelles, che ha in agenda proprio tra i primi punti  la guerra in Ucraina e la difesa europea.

Cosa ha detto Giorgia Meloni prima del Consiglio Ue

Oggi Giorgia Meloni è intervenuta in Parlamento per spiegare la posizione che lei terrà di fronte agli altri leader. Ha detto che sull’Ucraina la sua posizione non cambia, non può cambiare: "Davanti alle vittime civili, alle immagini delle città, delle case, delle stazioni elettriche di stoccaggio del gas sistematicamente bombardate dai russi con il solo e preciso intento di rendere impossibile la vita alla popolazione civile, che resiste eroicamente da quasi quattro anni a un conflitto su larga scala, la nostra posizione non cambia”.

Tra l’altro proprio stamattina i russi hanno lanciato un attacco con droni su Kharkiv che ha colpito un asilo e ferito dei bambini.

Non possiamo considerare accettabile l'atteggiamento ambiguo di chi promette impegno negoziale e poi bombarda costantemente obiettivi civili. Per arrivare al tavolo delle trattative serve, quindi, anche incrementare la pressione su Mosca, come stiamo facendo con il 19° pacchetto di sanzioni europee, che stiamo approvando e che contribuirà a ridurre ancora di più le risorse che Mosca può destinare allo sforzo bellico”.

Cosa può succedere adesso

Meloni ha anche detto di aver parlato al telefono con Zelenksy appena qualche giorno fa e di avergli ribadito il sostegno dell’Italia verso una pace giusta, che non può essere “frutto della sopraffazione, il che implica una soluzione equa, frutto di un percorso negoziale credibile nel quale, chiaramente, nessuna decisione sull'Ucraina può essere presa senza l'Ucraina e nessuna decisione sulla sicurezza europea può essere presa senza l'Europa”.

La presidente del Consiglio ha anche ripetuto che la questione ucraina è una questione europea, perché se si consentisse di fatto l’invasione di una nazione europea, dal giorno seguente non ci si dovrebbe stupire se ne venisse invasa un’altra, poi un’altra e poi un’altra ancora.

Tutto questo per Meloni va sicuramente fatto insieme agli Stati Uniti, che sono fondamentali per dare delle garanzie di sicurezza “robuste, credibili, ed efficaci”, perché hanno delle capacità di deterrenza che chiaramente l’Europa non ha. Meloni ha anche parlato delle iniziative europee, come quella dei Volenterosi chiaramente: su questo ha ripetuto che ogni Paese contribuirà come può e che l’Italia non prevede di mandare soldati in Ucraina.

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