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Diversi Comuni, come Bologna o Torino, stanno facendo un passo indietro sulla cittadinanza onoraria a Francesca Albanese. Il motivo? Le parole della Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati sull’attacco squadrista alla redazione torinese de La Stampa di venerdì scorso.
Cosa era successo? Mentre la sede del giornale era vuota, visto lo sciopero indetto dai giornalisti per quel venerdì, alcuni manifestanti ProPal – che sono scesi in piazza a Torino quel giorno, così come in tante città italiane – sono entrati e hanno vandalizzato gli uffici, al grido di “giornalista terrorista, sei il primo della lista”. Hanno buttato all’aria tutto quello che c’era sulle scrivanie, hanno imbrattato i muri scrivendo “fuck stampa”, hanno distrutto quello che trovavano.
Cosa ha detto davvero Francesca Albanese
Davanti a questa notizia e queste immagini è subito arrivata tutta la solidarietà in primis dei colleghi giornalisti – e anche in questo podcast rinnoviamo un grande abbraccio alla squadra de La Stampa – ma anche delle istituzioni e di molti commentatori. Tra cui anche quella di Francesca Albanese, che ha condannato l’irruzione nella sede del giornale, ha detto che la violenza non è mai la soluzione, di capire la rabbia, ma che fare violenza nei confronti di qualcuno non è la risposta. Poi però ha detto anche che deve essere un “monito” per la stampa, che deve tornare a fare il proprio lavoro.
“Non bisogna commettere atti di violenza nei confronti di nessuno, ma al tempo stesso che questo sia anche un monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro, per riportare i fatti al centro del nuovo lavoro e, se riuscissero a permetterselo, anche un minimo di analisi e contestualizzazione"
Poi un post su X:
"Condanno gli attacchi di ieri alla sede della Stampa. La rabbia verso un sistema mediatico che distorce la realtà in Palestina è comprensibile, ma la violenza – anche dentro un sistema violento – finisce per rafforzare chi ci opprime. E oggi lo vediamo: le migliaia di piazze che ieri hanno detto NO all'economia di guerra, in Palestina e nel mondo, rimangono oscurate da questa singola notizia".
Insomma. nonostante le precisazioni, le parole di Albanese aprivano potenzialmente a interpretazioni pericolose, sulla scia del “se la sono cercata” e del “se non si cambia rotta succederà ancora”. Ma la violenza non può mai essere monito, gli attacchi violenti alla stampa non possono mai fare parte di una democrazia.
Le reazioni della politica
Come c’era da aspettarsi, sono subito piovute le critiche. Giorgia Meloni sui suoi social ha scritto che “è molto grave che, di fronte a un episodio di violenza contro una redazione giornalistica, qualcuno arrivi a suggerire che la responsabilità sia, anche solo in parte, della stampa stessa. La violenza non si giustifica, non si minimizza, non si capovolge. Chiunque cerchi di riscrivere la realtà per attenuare la gravità di quanto accaduto compie un errore pericoloso. La libertà di stampa è un pilastro della nostra democrazia e va difesa sempre, senza ambiguità".
Matteo Salvini non ha proprio argomentato, limitandosi a dire che Albanese ha bisogno di un “medico bravo, di quelli specializzati, con tanta esperienza sulle spalle”, mentre Antonio Tajani ha detto che “dire che l'aggressione sia un avvertimento alla stampa è un fatto gravissimo e inaccettabile”. Ma le critiche non sono arrivate solo a destra. Ad esempio Filippo Sensi, del Partito democratico, ha detto: “Mi fanno orrore le parole di Francesca Albanese sulla aggressione fascista alla redazione de La Stampa, la solidarietà pelosa, il ditino, il ‘monito' a chi fa bene il suo mestiere, quello di informare. Le lezioni anche no”. Ma anche Pina Picierno, sempre del Pd, ha detto di essersi sorpresa di quelle parole, che la violenza non è mai un monito e che va condannata e basta, senza se e senza ma.
Come i media occidentali hanno raccontato Gaza
È così. C’è tanta rabbia per quanto accaduto negli ultimi due anni? Sì. Ed è una rabbia legittima, vista l’impunità di Israele e il silenzio del resto del mondo di fronte a un genocidio in diretta? Sì. Ma l’indignazione deve produrre mobilitazione, partecipazione, mai violenza.
Lo stesso discorso vale per la stampa. Indubbiamente buona parte dei media occidentali hanno fatto spesso e volentieri un lavoro pessimo nella copertura di Gaza. Banalmente anche solo per il definirla una “guerra”: c’è una guerra quando ci sono due schieramenti che si combattono, a Gaza c’è un esercito che per oltre due anni ha bombardato scuole, ospedali, ha sparato sui civili, li ha affamati e lasciati morire come animali. Ma, appunto, i media occidentali ne hanno sempre parlato come un normale conflitto, dove spesso tra l’altro gli israeliani venivano assassinati in attacchi terroristici, mentre i civili palestinesi semplicemente morivano. A decine, se non centinaia, ogni giorno. Morivano.
I bambini palestinesi sono diventati minori, non bambini. I crimini di guerra sono diventati il diritto di Israele a difendersi. La propaganda israeliana che descriveva i giornalisti uccisi come degli affiliati di Hamas, è stata spesso ripetuta, senza preoccuparsi di verificare. Così come non sono state verificate tante cose che venivano da fonti israeliane, che sono state semplicemente date per buone e propagate: penso alla storia dei bambini (questa volta sì, erano bambini) decapitati nei kibbutz, che nei giorni immediatamente dopo il 7 ottobre è stata usata per innescare una reazione di pancia utile a giustificare la reazione israeliana a Gaza, che fin da subito appariva spropositata, illegittima, di una violenza inaudita. Ecco, di quella storia, ripetuta anche da Joe Biden in persona durante una conferenza stampa e ripresa da svariati media, è sempre stata infondata. Non c’erano prove, erano tutte voci diffuse dalle IDF. Che poi, di fronte al fact checking di giornali come Le Monde sono state costrette ad ammettere che non c’erano conferme che dei bambini fossero stati effettivamente decapitati il 7 ottobre. Ma nel frattempo hanno continuato a ripetere questa storia, a raccontarla a ogni media che accettasse di pubblicarla senza farsi troppe domande.
La violenza non è mai un monito
Ecco, in questo modo moltissimi media occidentali hanno attivamente protetto e alimentato la narrativa israeliana, cioè una narrativa appositamente costruita per fabbricare consenso attorno al genocidio a Gaza, permettendo così che questo continuasse.
Questo fa rabbia, sì. Questo dovrebbe stimolare delle critiche, interne alla categoria e non, sì certo. Questo rende ammissibile una violenza squadrista, anche solo come monito? No, mai.
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