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L’Italia e gli Stati Uniti sono due Paesi profondamente diversi. Il contesto sociale, politico e culturale è diverso, per cui uno stesso identico evento può avere un significato da una parte e un significato completamente opposto dall’altra. Eppure, nonostante le mille differenze, in questi giorni, dopo l’assassinio di Charlie Kirk, sentiamo continuamente parlare di anni di piombo negli States, e al contempo, di come una generica “sinistra” italiana sarebbe responsabile di un clima sempre più intriso di odio.
Tutto questo non solo ha ben poco senso ai fini dell’analisi, ma è anche pericoloso se arriva dai vertici del governo.
Facciamo una premessa: ci sono ancora tantissime cose che noi non sappiamo sul presunto assassino di Kirk, Tyler Robinson. Non ha confessato e non starebbe collaborando con l’FBI, in questo momento un quadro preciso semplicemente ci manca. Certo, alcune cose sono emerse: sappiamo delle parole scritte sui proiettili – da “Bella Ciao” a “Hey fascista, prendi questo” – che sono state strumentalizzate dai giornali di destra per scrivere titoli come come “l’assassino partigiano”, però in realtà queste potrebbero essere più che altro dei riferimenti al mondo dei videogames che il segnale di un’affiliazione politica. Sono slogan decisamente diffusi tra i gamer, intrisi di una cultura che ha più a che vedere con i meme e una pop culture specifica, che con l’attivismo di sinistra. Anzi, spesso sono molto più riconducibili proprio all’alt right.
E ancora, rispetto al background familiare e affettivo di Robinson abbiamo sì degli elementi, ma non è semplice collegarli al gesto che avrebbe commesso: avrebbe una relazione romantica con una persona transgender, proverrebbe da una famiglia conservatrice, di destra, ma sulla sua ideologia non abbiamo ancora informazioni certe, se queste cose abbiano influito, non lo sappiamo.
Insomma, tutto questo per dire che qualsiasi analisi su un piano politico, sociale e culturale, dell’omicidio di Charlie Kirk, dovrebbe tenere conto delle mille incognite e, soprattutto, non dovrebbe alimentare retoriche pericolose e violente.
Invece, stiamo assistendo a tutto il contrario. E, lo stiamo vedendo anche qui, in Italia, dove comunque il contesto non è quello statunitense, per cui qualsiasi sovrapposizione non può che essere strumentale. Giorgia Meloni sta parlando dell’omicido di Charlie Kirk praticamente ogni giorno, da quando è accaduto. Nel weekend ne ha parlato prima alla festa dell’UDC, dicendo che la sua comunità politica viene accusata di odio e di violenza da chi oggi minimizza l’assassinio di Kirk, e addirittura affermando che – la cito – “sia arrivato il momento di chiedere conto alla sinistra italiana di questo continuo giustificazionismo della criminalizzazione, della violenza nei confronti di chi non la pensa come loro”. Non è chiaro di che sinistra stia parlando, visto che i leader dei principali partiti di opposizione, alla notizia dell’assassinio di Kirk, abbiano subito condannato quanto accaduto e ribadito che in politica non ci deve essere spazio per l’odio e per la violenza. Ma questo non sembra essere rilevante per la nostra presidente del Consiglio che poi, mandando un videomessaggio alla convention di Vox, il partito spagnolo di estrema destra, ha alzato ulteriormente il tiro.
Meloni ha detto: “Il sacrificio di Charlie Kirk ci ricorda ancora una volta da che parte sono la violenza e l’intolleranza. Voglio dire alto e chiaro a tutti questi odiatori ed estremisti e ai falsi maestri con giacca e cravatta, che non cadremo nella loro trappola, non giocheremo il gioco di chi vuole trascinarci in una spirale di violenza. Ma voglio dire anche che non ci intimidiranno, che andremo avanti e che lotteremo senza sosta per la libertà dei nostri popoli”.
Ecco, questo non è un discorso da una capa di governo. La nostra presidente del Consiglio dovrebbe usare toni diversi. Perché – e lo ripeto, anche nella consapevolezza che Stati Uniti e Italia sono due scenari completamente diversi – chi è alla guida di un Paese dovrebbe caricarsi di una responsabilità ulteriore, dovrebbe condannare l’odio in qualsiasi sua forma e tutelare lo spazio politico dalla violenza. Alzare l’allarme verso una presunta minaccia di parte, evocare uno scontro, usare toni bellicistici, evocare nemici, non va in questa direzione.
Persino il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha detto che il nostro Paese da un punto di vista politico e sociale è molto diverso dagli Stati Uniti, che non ci sono avvisaglie concrete di quel tipo di violenza politica.
Evocare gli anni di piombo non aiuta nessuno. Fomentare narrative violente pure. Eppure sembra proprio che la maggioranza di governo stia andando in questa direzione. Non solo per le parole della presidente del Consiglio. Il gruppo di Fratelli d’Italia al Parlamento ha anche redatto un dossier, inviato a tutti i suoi deputati e senatori, che si chiama “Chi soffia sul fuoco” e che elenca 28 episodi di violenza politica che sarebbero stati commessi contro la destra dal 2022 ad oggi.
Vengono citate anche alcune prese di posizione da parlamentari del centrosinistra e veniamo citati anche noi di Fanpage, per ben due volte. Si parla dell’evento al Monk che abbiamo organizzato l’estate scorsa per proiettare la seconda parte della nostra inchiesta, Gioventù Meloniana, sulla radicalizzazione del gruppo giovanile del partito di Meloni. Un’inchiesta in cui ci siamo infiltrati in Gioventù Nazionale e, sotto copertura, abbiamo potuto documentare discorsi razzisti, gesti fascisti e slogan nostalgici. Nel dossier di FDI si sottolinea che per questo evento, a cui c’era anche Roberto Saviano, è stata scelta come colonna sonora la canzone della band di sinistra, 99 posse, che dice: “Ho un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero gli sparo a vista”. Questa è, sostanzialmente, una fake news.
E ancora, è stato citato un video uscito sui social nei giorni scorsi in cui ricostruivamo cosa stesse accadendo negli Stati Uniti dopo l’assassinio di Kirk. In questo dossier non si puntava il dito contro il nostro contenuto, che analizzava il dilagare della violenza politica negli USA, ma contro i commenti che venivano lasciati dagli utenti. Una precisazione qui: non si può imputare a un giornale di diffondere odio solo perchè alcuni utenti dei social media vomitano messaggi violenti sui suoi profili (che molto spesso, tra l’altro, prendono di mira in primis i nostri giornalisti).
Per arrivare a una conclusione: la violenza politica non si risolverà se i vertici della politica soffiano sul fuoco e evocano uno scontro frontale tra parti, puntando il dito contro nemici più o meno immaginari. E sicuramente equiparare il contesto statunitense al nostro non ci aiuta a rimanere lucidi. Lì il rischio di una spirale sempre più violenta e pericolosa c’è, è il sintomo di una frattura sempre più profonda.
Kirk è stato un attivista di estrema destra estremamente efficace, non solo nello spostare i voti dei conservatori più giovani a favore del movimento Maga e di Donald Trump e nel diventare un interlocutore fisso della Casa Bianca, ma anche nel normalizzare una narrativa politica sempre più violenta, nel radicalizzare il pubblico che ascoltava i suoi podcast. Alla sua morte Kirk è diventato un simbolo della destra populista e la sua base, chi lo seguiva ma anche gli altri influencer politici, ora gridano vendetta. La complottista Laura Loomer ha scritto che la sinistra è una minaccia per la sicurezza nazionale, che se non verrà schiacciata altre persone finiranno uccise. L’account di estrema destra Libs of TikTok ha parlato di una guerra civile, un altro complottista – Alex Jones – ha ribadito che c’è una guerra e anche Steve Bannon, l’ideologo di Trump, ha detto che Kirk è una vittima di guerra.
Insomma, la destra statunitense sta martirizzando Kirk, e questo è estremamente pericoloso. Perché non raffredderà un clima già di per sé incendiario, lo farà esplodere.
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