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Il discorso di Trump alla Knesset mostra il vero volto del piano per Gaza

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Non sappiamo se quella di oggi sarà una giornata storica in senso assoluto e definitivo, cioè la giornata dopo la quale effettivamente è stata costruita una pace giusta e duratura tra Israele e Palestina. Altre volte il cessate il fuoco è stato violato. Altre volte gli accordi sono naufragati. E poi, e forse è questo il punto più importante, non sappiamo se il piano che si sta discutendo in Egitto, sia a tutti gli effetti un piano di pace. Perché la pace è difficile da costruire se non parte dalla giustizia, dalla fine non solo dei bombardamenti, ma anche dell’impunità e di tutte le violazioni dei diritti umani che in quella terra vengno compiuti da ben prima del 7 ottobre. Senza dubbio, però, quella di oggi non è una giornata come le altre. Perché 20 ostaggi israeliani e 2mila prigionieri palestinesi sono tornati alle loro case. Perché in Egitto ci sono leader da tutto il mondo che stanno discutendo del futuro. Perché stanno finalmente arrivando gli aiuti umanitari a Gaza. Perché i bombardamenti si sono fermati, anche se purtroppo, come sappiamo, non è lo stesso per gli scontri armati. Questa notte è stato ucciso anche il giornalista Saleh Al-Jafarawi, freddato da milizie locali sostenute e finanziate da Israele mentre raccontava gli scontri a Gaza City tra clan rivali di Hamas e le forze di sicurezza interna.

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La liberazione degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi

Gli ostaggi israeliani sono stati liberati. Questa mattina tutti e venti quelli ancora in vita sono tornati in Israele. A Gaza City e a Khan Yunis, come da accordi, le brigate al-Qassam hanno consegnato gli ostaggi alla Croce Rossa, in due fasi diverse: prima 7 e poi 13 persone, che sono state riportate poi in Israele.  Tra le prossime ore e i prossimi giorni verranno riconsegnati anche i corpi di quelli che sono morti in questi due anni. Contestualmente, circa 2mila prigionieri palestinesi sono stati liberati e riportati a Gaza o in Cisgiordania con decine di autobus. Ad aspettarli c'erano le loro famiglie, che alcuni prigionieri non vedevano da vent’anni.

Secondo dei media israeliani, che citano le IDF, alcuni dei prigionieri che erano stati condannati all’ergastolo verranno deportati all’estero, anche se non è chiaro dove. Molti dei detenuti comunque erano stati arrestati dopo il 7 ottobre, senza accuse chiare e non avevano mai ricevuto un processo. Chiaramente queste 2mila persone non sono il totale dei prigionieri palestinesi, le carceri israeliane ne sono piene zeppe. Secondo un’inchiesta del Guardian, solo dall’ottobre del 2023 sono 6mila le persone che sono state arrestate e imprigionate, la maggior parte con l’accusa di essere affiliata ad Hamas, ma non sempre. Nelle carceri israeliane ci sono insegnanti, giornalisti, politici, scrittori, medici. A tal proposito, non verranno rilasciati, al netto di sorprese dell’ultimo minuto, il dottor Hussam Abu Safiya e il dottor Marwan Al Hams, entrambi dirigenti di ospedali di Gaza ed entrambi arrestati con l’accusa di essere vicini ad Hamas.

A chiedere la loro liberazione sono anche tante Ong, che sottolineano come non ci sia alcuna prova di un qualsiasi legame tra loro e Hamas, ma le autorità israeliane su questo per ora sono irremovibili. Come lo sono su Marwan Barghouti, prigioniero politico da moltissimi anni, l’ex leader di Fatah: il suo nome era sulla lista di prigionieri da liberare che aveva richiesto Hamas, ma il governo israeliano ha detto di no.

Il discorso di Trump alla Knesset

Oggi comunque non è stata solo la giornata del rilascio di ostaggi e prigionieri: oggi è stata anche la giornata della visita di Donald Trump in Israele. Il presidente statunitense è atterrato questa mattina, proprio mentre avvenivano le operazioni per il rilascio degli ostaggi – da una parte e dell’altra, si intende – ed è stato accolto da Netanyahu, per poi intervenire alla Knesset, il parlamento ebraico. Dove è stato accolto con una standing ovation.

Trump ha ripetuto alcune delle solite cose, sul fatto che lui ha risolto questa e quell’altra guerra. E ne ha dette altre oggettivamente da brividi. Ad esempio:

Produciamo le armi migliori, ne produciamo molte. Ne diamo molte a Israele. Netanyahu mi chiamava sempre, dicendomi, “Dammi quest'arma, quell'arma”, di alcune non ho mai sentito parlare. Abbiamo dato molte armi a Israele e le avete usate bene.

Varrebbe la pena ricordare che con quelle armi sono state uccise almeno 67 mila persone. E chissà quanti altri corpi ci sono sotto le macerie, sotto una distesa di chilometri e chilometri di macerie, di palazzi distrutti. Con quelle armi, fornite gentilmente da Trump, che ora dice che sono state usate bene, l’esercito israeliano ha ucciso oltre 20 mila bambini.

Mentre i leader occidentali, a partire da Giorgia Meloni, esaltano Trump per questo accordo, dovrebbero prestare attenzione anche alle sue parole. E dovrebbero dirci se la pensano allo stesso modo, se anche per loro queste armi che gli Stati Uniti – ma non solo – hanno fornito a Israele, siano state usate bene.

Trump comunque ha detto anche altre cose. Ha detto che adesso ci sarà una nuova età dell’oro per Israele e tutta la regione, ha detto che Israele ha vinto e ora deve godere dei frutti di questo lavoro e conseguire la pace in Medio Oriente. E a proposito allora di questa pace da costruire: Trump ha anche detto che ora nascerà un comitato, il board of peace, di cui lui dovrebbe esserne il presidente che si occuperà della ricostruzione a Gaza. Una Gaza smilitarizzata, in cui Hamas avrà posto le armi.

Poi Trump ha proseguito parlando anche di Iran, dell’accordo sul nucleare che lui ha stesso ha stracciato e che si stava cercando di negoziare prima dello scontro armato con Israele dei mesi scorsi, e poi ha concluso dicendo che ora risolverà una volta per tutte anche le cose in Ucraina.

Il summit per la pace e la ricostruzione in Egitto

Una volta terminato il suo discorso Trump è partito alla volta dell’Egitto, dove oggi a Sharm el-Seikh c’è il vertice per la pace. Un summit presieduto appunto dal presidente degli Stati Uniti e dal quello egiziano Al Sisi, a cui c’erano anche decine di altri leader, tra cui quelli dell’Onu, della Lega Araba, dell’Unione europea. Ovviamente, quindi, c’era anche Giorgia Meloni. Che oggi su X ha scritto:

Oggi è una giornata storica. Gli ostaggi sono stati liberati: un risultato straordinario, frutto della determinazione della diplomazia internazionale e dell’attuazione della prima parte del Piano di pace del Presidente americano Donald Trump. Ora si apre una nuova fase: consolidare il cessate il fuoco e dare piena attuazione all’accordo per costruire un futuro di pace e stabilità duratura. L’Italia continuerà a sostenere con convinzione questo percorso, nella consapevolezza che la pace si costruisce con i fatti, non con le parole.

Al vertice (a differenza di Netanyahu) c’era anche Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese. Tra l’altro appena ieri il suo vice, Hussein al Sheikh, ha pubblicato una foto su X insieme a Tony Blair – cioè la figura che Trump avrebbe individuato per guidare insieme a lui questo “board of peace”: in questo post ha scritto di aver incontrato Blair per discutere del post-guerra e di come costruire una pace duratura nella regione. Ha confermato di essere pronto a lavorare con lui per consolidare il cessate il fuoco e iniziare poi con la ricostruzione.

Poi al-Sheikh ha ribadito quanto sia importante smettere di minare e indebolire l’ANP, anche in vista della realizzazione della soluzione dei due popoli e due Stati. E su questo fronte, sappiamo quanto le cose sono complicate. Perché se il popolo palestinese viene lasciato ai margini, la ricostruzione viene affidata a un board of peace guidato dall’Occidente, in pieno stile neocoloniale, se non una parola viene detta sul processo di giustizia dopo due anni di genocidio, allora quella soluzione resterà sempre lontanissima.

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