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La Legge di Bilancio è stata approvata in Senato e – per dirla con le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti – “tutto è bene quel che finisce bene”. Il ritornello ripetuto da diversi esponenti della maggioranza è che conta il risultato, non tanto il percorso con cui ci si è arrivati. Per questa Manovra è stato un percorso decisamente travagliato: basti pensare che il governo aveva approvato un primo testo il 17 ottobre, oltre due mesi fa: sono servite diversi riformulazioni, modifiche e inversioni a U, per arrivare al via libera in Aula. Il primo via libera, perché ora passa tutto alla Camera, dove bisogna lavorare – come al solito, accade ogni anno – in tempi record per portare a casa l’approvazione entro la fine dell’anno, se si vuole evitare l’esercizio provvisorio, cioè quel regime eccezionale che poi limita la possibilità di fare investimenti e programmare riforme, perché denota una situazione di instabilità.
Al netto di sorprese dell’ultimo minuto, non succederà. Però va detto che quest’anno i colpi di scena finora non sono mancati. Gli ultimi giorni sono stati decisamente turbolenti per la maggioranza, prima con il litigio tra la Lega e i tecnici del Mef sulle pensioni, che hanno rischiato di far saltare il maxi emendamento del governo; poi con le cinque norme infilate all’ultimo e saltate poche ore prima dell’approvazione in Aula. Il problema? Dubbi sulla costituzionalità, tanto che sarebbe intervenuto anche il Quirinale.
Cosa prevedeva la norma sui lavoratori sottopagati
Tra queste norme, una ha fatto particolarmente discutere. È la misura che permetteva agli imprenditori di non corrispondere gli arretrati ai lavoratori che, secondo quanto stabilito da un giudice, venivano sottopagati. Per dirla con altre parole: l’emendamento prevedeva che non si potesse obbligare il datore di lavoro a pagare la differenza di stipendio, sul periodo precedente a cui era stato rappresentato il ricorso. Ecco il testo dell'emendamento:
Con il provvedimento con cui il giudice accerta, in ogni stato e grado del giudizio, la non conformità all'articolo 36 della Costituzione (quello che prevede il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, ndr) dello standard retributivo stabilito dal contratto collettivo di lavoro per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall'Istat, il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo o dai contratti che garantiscono tutele equivalenti per il settore e la zona di svolgimento della prestazione.
Questo emendamento era stato presentato dal senatore Salvo Pogliese, di Fratelli d’Italia. Poi è saltato, ma non è la prima volta che Fratelli d’Italia tenta un’operazione di questo tipo. Era successo anche quest’estate con un emendamento al decreto Ilva. Anche in quel caso poi era stato ritirato, ma comunque erano esplose le polemiche, esattamente come nelle scorse ore. La Cgil ha parlato di attacco – poi sventato – ai diritto delle lavoratrici e dei lavoratori e anche l’opposizione ha subito denunciato il tutto e criticato la maggioranza.
Gli attriti interni alla maggioranza
Alla fine pare sia intervenuto anche il Quirinale, ponendo una questione di costituzionalità, e tutto è stato stralciato senza troppe polemiche. Maurizio Gasparri, che è il capogruppo di Forza Italia e sta in Parlamento da decenni, ha detto ai giornalisti di ricordare ben altri scontri, anche con la presidenza della Repubblica, in altre Finanziarie. Ma in questi giorni di problemi ce ne sono stati eccome, soprattutto interni alla maggioranza. Tanto che il ministro Giorgetti, scherzando con i giornalisti, ha detto che magari quest’anno porterà a Salvini un po’ di carbone sotto l’albero, anche se siamo in transizione green e il carbone non si usa più.
All di là delle battute, non è stata una partita semplice per la maggioranza, anche se Salvini ha negato che ci sia stato del gelo tra il partito e il ministro Giorgetti. Che, anche se è un uomo della Lega, viene percepito più che altro come un uomo di Giorgia Meloni in persona. A proposito della presidente del Consiglio: al brindisi con i parlamentari di Fratelli d’Italia per fine anno ha detto che il 2025 è stato un anno duro, ma che il prossimo, il 2026, sarà molto peggio.
Le ultime difficoltà, prima del 2026
Prima della fine dell’anno, però, c’è ancora un altro momento delicato che il governo e la maggioranza di centrodestra devono affrontare. Il decreto Ucraina, quello che serve per confermare per il prossimo anno il sostegno a Kiev e su cui, ancora una volta, la Lega potrebbe dare qualche problema, per la parte che riguarda l’invio di armi. Si deciderà tutto nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno, che è in programma lunedì prossimo, il 29 dicembre. In queste ore diversi esponenti della maggioranza stanno assicurando che c’è già un accordo politico chiuso su questo fronte. Ma si vedrà.
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