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Cosa è successo in Senato sul ddl stupro: i dubbi sul consenso e l’attacco di Salvini

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Il 25 novembre doveva essere una giornata simbolica, ma non solo. Il Parlamento doveva anche approvare delle leggi per il contrasto alla violenza di genere. Il ddl Femminicidio, quello che riconosce la matrice culturale della violenza e punisce il femminicida con l’ergastolo. Ma anche il ddl sul consenso, che chiarisce che senza consenso “libero e attuale” c’è violenza sessuale, c’è lo stupro.

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C’era un patto, tra maggioranza e opposizione, per approvare all’unanimità queste leggi. Un patto che era stato stretto personalmente da Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Ma poi qualcosa è andato storto. E, a far inceppare tutto, è stato Matteo Salvini.

Cosa è successo in Senato sulla legge sul consenso

Tutto è crollato al Senato. Alla Camera il ddl Femminicidio è stato effettivamente votato da tutti i partiti, come da accordi, mentre a Palazzo Madama – nonostante quel ddl sul consenso fosse già passato senza intoppi a Montecitorio la settimana scorsa – in commissione Giustizia ieri è arrivato lo stop. Uno stop spinto dalla Lega. La presidente della commissione – che è una leghista, l’avvocata Giulia Bongiorno – ha spiegato che semplicemente sono state richieste delle riflessioni in più, visto che si tratta di una norma importantissima, che quindi va fatta bene.

Bongiorno non ha messo in dubbio l’impianto della legge, ha detto che sicuramente si farà, ma che vanno messe apposto alcune cose. Soprattutto su un comma, perché “su un comma si gioca una vita”. E poi la senatrice ha detto di preferire una legge che viene approvata un altro giorno, ma che sia una buona legge, piuttosto di una norma con delle lacune che però arriva il 25 novembre, nella Giornata contro la violenza sulle donne.

Cosa ha detto Meloni sulla collaborazione con le opposizioni

Al freno della Lega si sono poi aggiunti anche gli altri due partiti di maggioranza, probabilmente per non spaccare palesemente la coalizione, però non deve essere stato facilissimo per Fratelli d’Italia. Perché su quel patto, di approvare tutto all’unanimità, si era spesa personalmente Giorgia Meloni. Non solo mettendoci la faccia nel suo accordo con l’opposizione. Ma in quelle stesse ore rilasciando anche un’intervista a LaPresse in cui – probabilmente ignara di quello che stava o che sarebbe accaduto di lì a poco in Senato – diceva che “su alcuni temi, a partire dall’impegno comune per combattere la violenza contro le donne, il dialogo e la collaborazione con l’opposizionee non sono mai mancati”.

E ancora, Meloni parlava del “sostegno e del contributo che tutte le forze politiche” hanno mostrato su un tema così delicato, segnale del fatto – diceva – che “questa non sia una materia sulla quale costruire propaganda”.

Ma quel sostegno e quella collaborazione, almeno per quanto ha riguardato la legge sulla violenza sessuale, era solo di facciata. La faccia, però, era quella della presidente del Consiglio. Che ora potrebbe essere quantomeno infastidita con gli alleati, specialmente con la Lega. La senatrice Bongiorno ha parlato di riflessioni, di alcune lacune, di un comma; ma Matteo Salvini oggi è stato decisamente più chiaro.

La posizione di Salvini

Il leader leghista ha dato un’intervista a Repubblica, in cui ha spiegato che "vanno bloccati i ripetuti e intollerabili episodi di violenza, sacrosanto, ma bisogna lasciare meno spazio possibile alla discrezionalità". Cioè? "Ho letto la norma: consenso attuale e libero… Bisogna evitare di esporre chiunque, uomo o donna, a chi si vuole vendicare di un rapporto finito male".

Insomma, provando a parafrasare, sembrerebbe che Salvini stia dicendo che il consenso attuale e libero può essere difficile da identificare in modo chiaro e questo esporrebbe le persone a dei rischi, perché potrebbe diventare il cavillo strumentalizzato da partner o ex per vendicarsi di qualcosa. Il vicepremier oggi è tornato sul tema dicendo che il consenso è “"assolutamente condivisibile come principio, ma una legge che lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo è una legge che rischia di intasare i tribunali e alimentare lo scontro invece di ridurre le violenze”. E ancora: “Questa sorta di consenso preliminare, informato e attuale, così come è scritto, lascia lo spazio a vendette personali, da parte di donne e uomini, che senza nessun abuso userebbero una norma vaga per vendette personali che intaserebbero i tribunali".

Da queste parole però sembra chiaro che il problema sia ben più ampio, rispetto all’impostazione della legge. E quindi, di fatto, Salvini sta dicendo di non condividere l’accordo stretto dalla presidente del Consiglio?

La reazione delle opposizioni

Le opposizioni pensano questo, pensano che la frenata in commissione Giustizia sia di fatto una sfiducia della sua maggioranza a Meloni. Una cosa che la Lega forse ora ritiene di potersi giocare, visto il risultato alle elezioni regionali in Veneto, dove si pensava che Fratelli d’Italia si sarebbe mangiata gran parte dei voti alla Lega – soprattutto senza Luca Zaia candidato presidente – e invece non è stato così. Forse proprio da quei numeri il Carroccio si è sentito forte di poter andare all’attacco, e così ha fatto.

Il punto, però, adesso che le opposizioni sono state di fatto tradite. Meloni aveva preso accordi che non sono stati rispettati dai suoi, mentre dall’altra parte tutto è andato come da previsioni, nel senso che Pd, M5s e Avs hanno votato a favore delle proposte senza fare ostruzionismo. Esattamente come stabilito da quel patto politico con la presidente del Consiglio.

Ieri i senatori di opposizione hanno abbandonato i lavori della Commissione in protesta. Elly Schlein ha commentato così: “La legge era stata approvata all’unanimità meno di una settimana fa. Ora sarebbe grave se, sulla pelle delle donne, si facessero rese dei conti post elettorali all’interno della maggioranza”.

Insomma, sembra sostenere quella teoria per cui la Lega starebbe tirando per bene la corda dopo il risultato alle regionali in Veneto. Però c’è da dire che anche in Fratelli d’Italia diversi senatori hanno mostrato i loro dubbi. Ad esempio Donatella Campione ha raccontato di essere stata contattata da diversi giuristi, dopo l’approvazione della legge alla Camera, che hanno espresso un po’ di dubbi. E ha detto che sono tutti d’accordo sul principio del consenso, ma che va chiarito come poi si intenda provare che c’è stato il reato.

Il nodo da sciogliere: come si prova la violenza?

Alla fine è intervenuta anche la ministra per le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, che alla Rai ha detto che non c’è stata alcuna retromarcia sul consenso, ma che semplicemente ogni Camera vuole avere il tempo di fare il suo lavoro ed è giusto lasciare che il Senato apra una discussione un po’ più approfondita. Poi ha ribadito il punto, per cui è saltato tutto: "Sulla legge sul consenso il rischio è il rovesciamento dell'onere della prova, questo è il dubbio. Quello che è emerso dopo l'approvazione alla Camera è una forte perplessità da ambienti importanti. La legge si farà, il consenso è un principio sacrosanto”.

Ora, non resta che aspettare e vedere quando si farà. Oppure, se questi freni e precisazioni non erano altro che un escamotage per buttare la palla in tribuna.

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