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Chi era Anas al-Sharif, il giornalista di Gaza assassinato in un raid israeliano che lo ha deliberatamente preso di mira

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Anas al-Sharif aveva 28 anni. Era un padre, un giornalista. Era la voce che documentava ogni singolo giorno il massacro dei palestinesi a Gaza, per mano di Israele. Che lo minacciava da tempo, accusandolo di essere un militante di Hamas. Senza portare alcuna prova credibile ovviamente.

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Anas al-Sharif sapeva che ogni giorno in prima linea avrebbe potuto costargli la vita. Sapeva che tra i 61 mila morti palestinesi di questa guerra, presto avrebbe potuto finire anche lui. Lo scorso aprile aveva preparato un messaggio, un testo di addio, chiedendo ai suoi colleghi di pubblicarlo, nel caso lui fosse rimasto ucciso. Questa mattina quel testo è stato pubblicato sul suo profilo X.

Inizia dicendo che questo è il suo testamento, il suo ultimo messaggio. “Se queste parole ti arrivano, significa che Israele è riuscito a uccidermi e a silenziare la mia voce”, si legge. Ribadisce che ogni sforzo, ogni impegno, è stato per dare un supporto e una voce al suo popolo, il popolo palestinese. E poi continua: “Ho vissuto il dolore in ogni sua componente, ho provato la sofferenza e la perdita di così tante vite, ma mai una volta ho esitato nel mio lavoro di riportare la verità così com’è, senza distorsioni o falsità. Affinché Allah possa testimoniare contro coloro che sono stati in silenzio, coloro che hanno accettato la nostra uccisione, coloro che ci hanno soffocato il respiro, coloro che sono rimasti indifferenti di fronte ai resti sparsi di donne e bambini, senza fare nulla per fermare il massacro a cui è sottoposto il nostro popolo da più di un anno e mezzo”.

Al Jazeera, l’emittente per cui lavorava, ha detto che la sua uccisione è un altro attacco premeditato alla libertà di stampa. A Gaza non vengono fatti entrare i giornalisti stranieri, i media internazionali. L’unico modo che abbiamo per sapere cosa succede sono i giornalisti palestinesi, che ogni giorno sono in prima linea per documentare tutto quanto, mettendo a rischio la loro vita.

Sono loro che ci raccontano dei bombardamenti sulle case e gli ospedali, dei cecchini che sparano sulla folla accalcata attorno ai pochissimi aiuti umanitari, della fame che sta uccidendo i bambini, dei droni che prendono di mira i civili. Gaza è diventata il luogo più pericoloso per i giornalisti, oltre duecento sono rimasti uccisi dall’inizio della guerra. Secondo Al Jazeera al momento sono 269. Sono numeri che non si ritrovano in nessun altro conflitto. E non è solo perché l’aggressione israeliana è violentissima, colpisce deliberatamente anche i civili e porta una distruzione su larga scala senza precedenti. Ma anche perché per l’esercito israeliano i giornalisti sono un bersaglio ben preciso, un bersaglio da silenziare.

Lo ha denunciato anche Al Jazeera, parlando dell’assassinio di Anas al-Sharif: “Questo attacco avviene tra le conseguenze catastrofiche dell’aggressione israeliana a Gaza, che ha visto un incessante massacro di civili, la fame forzata e la distruzione di intere comunità. L’ordine di assassinare Anas al-Sharif, uno dei giornalisti più coraggiosi di Gaza, e i suoi colleghi, è un tentativo disperato di mettere a tacere le voci che denunciano l’imminente assedio e occupazione di Gaza”.

Il giornalismo non è un crimine. Uccidere i giornalisti, uccidere i civili, invece è un crimine di guerra. E Israele ne deve rispondere.

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"Nel caso te lo fossi perso" è il Podcast daily per i Sostenitori di Fanpage.it che, ogni giorno, fa il punto sulla notizia più importante del momento, quella da non perdere, per aprire gli occhi sul mondo. L’appuntamento è dal lunedì al venerdì alle 18.00, con la nostra giornalista, Annalisa Girardi.

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