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Ciao, oggi su Streghe parliamo dei commenti alla vicenda di Marzia Sardo, la ragazza che su TikTok ha pubblicato un video in cui denuncia commenti sessisti e molesti durante una tac. Mi voglio prendere qualche riga per spiegare perché gli attacchi ricevuti sono un problema che vanno al di là del singolo caso. E perché mostrano il volto di una società profondamente misogina, che trasforma il corpo femminile in un’arma di umiliazione per zittire, punire e ricondurre le donne al ruolo che le vuole sottomesse.
Nei giorni scorsi abbiamo trattato su Fanpage la storia di Marzia Sardo, la 23enne che ha denunciato sui social un commento sessista e molesto da parte di un operatore sanitario durante una tac al cranio. Il video è diventato virale e il Policlinico Umberto I ha prontamente annunciato un’indagine interna per valutare se vi siano stati comportamenti passibili di sanzione disciplinare.
Il fatto che spesso gli operatori abbiano comportamenti totalmente inappropriati, quando non abusanti, nei confronti delle pazienti, non è purtroppo una novità. E questo vale al di là del singolo caso specifico su cui le indagini sono ancora in corso. È urgente, per il bene di tuttə, che ci sia un cambio di passo nelle relazioni con le pazienti da parte di chi lavora in ambito sanitario. Chi si reca in ospedale, o si sta sottoponendo a una visita, si trova in condizioni di vulnerabilità e ha bisogno di tutele. Non di commenti a sfondo sessuale. Non fanno ridere al bar, a maggior ragione non fanno ridere quando una persona è sdraiata su un lettino senza vestiti.
Aggiungo: non sta a noi decidere in merito alla ‘colpevolezza’ dell’operatore. Sul caso è stata aperta un’indagine e sarà quindi compito delle autorità sanitarie stabilire cosa sia accaduto e se vi siano gli estremi per un provvedimento. Ha anche poco senso ora discutere se Sardo abbia fatto bene o meno a pubblicare quel video su TikTok: si può certamente trovare questa scelta comunicativa opinabile e poco consona, e avere delle perplessità. Ma ora non è questo il punto. Perché l’ondata di violenza che si è abbattuta sulla ragazza è un segnale che ci deve far riflettere profondamente. E mostra cosa succede quando – a prescindere dall'episodio in questione – una donna decide di denunciare. Che sia una molestia, un comportamento sessista, un abuso fisico. Se volete una risposta all’onnipresente domanda “E PERCHÉ ALLORA NON HA DENUNCIATOOOOO”, la trovate qui.
In seguito alla pubblicazione del video, su Sardo sono piovuti letteralmente migliaia di commenti violenti. Attacchi al video, agli articoli pubblicati sulla vicenda, e messaggi in privato. Persone, spesso celate dietro account fake, che le augurano la morte, lo stupro, che la appellano con parole irripetibili. Commenti osceni sul suo aspetto fisico, sul suo seno, foto e video rubati in cui il suo corpo viene esposto pubblicamente, dileggiato e offeso. Account legati alla galassia incel che si congratulano per aver salvato le sue foto “a imperitura memoria di cosa postano queste luride prima di parlare di sentirsi umiliate per una battuta”, giornalisti scatenati che danno lezioni di morale e spiegano come ci si debba comportare per essere vittime credibili. Mi rifiuto di riportare le parole rivolte a Sardo che in queste ore stanno circolando sui social, ma sono quanto di più violento si possa immaginare. Rivelano uno specchio fedele della nostra società, mostrando quanto sia radicata la cultura del victim blaming e quanto sia profonda e sistemica la violenza che colpisce chi denuncia pubblicamente.
Gli attacchi sessisti, le minacce, le shitstorm, hanno uno scopo: zittire e intimidire. Mostrare la figura seminuda di una donna, indugiare sulle sue parti intime con toni offensivi, ha l'intento di rimetterla al proprio posto e farla tacere. Non a caso molti commenti mostrano le foto del suo corpo, riducendola a oggetto sessuale e offendendola per come si mostra sui social. Una gogna pubblica che ha lo scopo di punire e umiliare la persona in questione in modo che non possa più parlare. Il corpo viene usato come arma per annientare, intimidire. Ma è anche un messaggio per tutte le altre: se denunciate una molestia, noi vi esponiamo laddove siete più vulnerabili. Se parlate, noi vi zittiamo. Se dite che avete subito violenza, noi scandagliamo i vostri social fino a che non troviamo qualcosa da usare contro di voi.
In questo clima non deve stupire che le donne in Italia si dimostrino restie a denunciare le violenze subite. Perché se a questo si affianca la gogna pubblica, fatta di critiche, giudizi, offese, dileggio, accuse di mentire ed essere responsabili di quanto accaduto, è più che comprensibile che la maggioranza di esse scelga di rimanere in silenzio. La vittimizzazione secondaria è un problema, e spesso rappresenta un deterrente insormontabile, che impedisce di ottenere giustizia e protezione.
Allo stesso tempo, questo dimostra quanto sia fondamentale il ruolo delle forme organizzate di donne che, da anni, denunciano collettivamente la violenza e la cultura che la sostiene. Slogan come "Sorella, non sei sola", "Io ti credo", "Insieme siam partite, insieme torneremo" non sono semplici parole d’ordine, ma strumenti reali di resistenza: forse la risposta più potente contro forme di intimidazione che si fondano sull’isolamento e la demolizione di chi vuole alzare la voce. Intimidazioni che perdono forza quando si trovano di fronte alla compattezza e alla voce di un movimento collettivo. La cui necessità non è data da fantasiose derive woke, né tantomeno da irrigidimenti ideologici di qualche nostalgica, ma da eventi concretissimi come questo.
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Ci sentiamo alla prossima puntata. Ti ricordo che ‘Streghe’ non ha un appuntamento fisso: esce quando serve. E dove serve, noi ci siamo.
Ciao!
Natascia Grbic