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L’articolo di ieri su femminismo e influattivismo ha aperto un confronto acceso tra i commenti al post di Instagram. Dato che Streghe nasce anche con l’intento di stimolare lo scambio di opinioni sui temi che propone, e non quello di sancire verità indiscutibili, è giusto affrontare in modo più ampio i principali argomenti emersi. Continuiamo il dibattito, insieme.

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Ieri la newsletter di Streghe ha parlato di femminismo e influattivismo, a cui è seguito sull'account Instagram di Fanpage.it un interessante dibattito riguardo l’attivismo social, che molte vedono come uno strumento non solo utile ma indispensabile per diffondere consapevolezza, soprattutto tra le nuove generazioni. Qui vorrei partire facendo subito chiarezza: l’intento non è quello di demonizzare chi usa i social per fare attivismo e divulgazione. Tantissime persone, soprattutto giovanissime, si sono avvicinate ai temi del transfemminismo (e più in generale alla politica) grazie a questo strumento. Così come moltissime persone, che magari abitano lontane dalle grandi città, sono riuscite a sentirsi partecipi del movimento pur non riuscendo a partecipare fisicamente ad assemblee, cortei e mobilitazioni. Ed è giusto così: i social, da questo punto di vista, sono infatti uno strumento prezioso.

Il problema però, a mio avviso, non è il cosa, ma il come. Alcune forme di discussione e organizzazione collettiva restano fondamentali non tanto per la loro modalità dal vivo, ma perché partono dal ‘noi’ e non dall’’io’. Perché passano dalla capacità di riconoscimento reciproco e di sviluppo comune di pensiero, rivendicazioni e azioni. Perché ci ‘costringono’ a fare i conti con l’altra e limitare il rischio – estremamente presente sui social – di fare tutto in termini egoriferiti. Come detto nell’articolo di ieri, se il femminismo diventa una performance identitaria, un modo per fare personal branding, è un problema. Non è questione di dicotomia tra piazza fisica e piazza virtuale, la guerra non serve a nessuno: i corpi fisici e le voci in rete hanno la stessa legittimità. Il senso dell’articolo non è creare una contrapposizione, ma porre piuttosto delle domande: chi decide e come? Chi rappresenta chi?  Si decide insieme o qualcuna, sulla base della semplice visibilità mediatica, decide per tutte?

Non ho interesse a parlare di chat private tra influattiviste. O dei giudizi, per quanto forti, su esponenti politici. E, ancora: nessuna vuole distribuire patentini di femminismo, né stabilire chi sia legittimata a parlare e chi no. Credo però sia urgente riflettere su come, negli anni, alcune figure siano state incensate — o si siano autoincensate — usando il femminismo come leva di visibilità, come marchio personale, trasformandolo in una performance estetica funzionale più alla propria immagine che alla lotta contro patriarcato e violenza di genere. Smontare i meccanismi del potere significa anche guardare dentro le nostre stesse dinamiche, riconoscere quando rischiamo di riprodurre ciò che diciamo di combattere. Perché se ‘passare il microfono’ serve semplicemente a passarlo da un lui o a una lei di un piccolo cerchio magico, lasciando tutte le altre nella stessa condizione di ieri, non vedo grandi passi in avanti. Se non per la stessa cerchia, che finalmente guadagna l’accesso al di là del tetto di cristallo.

Non abbiamo bisogno di altari dove venerare sante o regine, ma di domande e pratiche concrete di trasformazione del reale. Anche a partire da noi stesse. ‘Il personale è politico' non è solo uno slogan, riflette l’idea che agire concretamente nella sfera dei rapporti personali possa davvero portare a trasformare le cose. Non significa, io credo, che si possa utilizzare la politica per risolvere a proprio favore qualsiasi conflitto personale.

Replicare logiche escludenti e punitive non porta a nulla: soprattutto quando esercitate in modo autonomo da un circolo di persone che non ha altri referenti che loro stesse, con una presunzione di infallibilità pericolosa e distruttiva. L’ho detto e lo ripeto: il call out è uno strumento della pratica femminista molto delicato, da maneggiare con cura per gli effetti che può avere. Non può essere usato per manie di grandezza e lotte di potere. Una cosa è rivolgerlo verso uno degli uomini più potenti del pianeta, come mezzo a disposizione contro i soprusi garantiti dalla sua posizione di estremo privilegio. Ben altro è usarlo come strumento standard per regolare conti, perché in mezzo ci possono finire vicende ben poco politiche e molto personali.

Questa cosa va problematizzata: e farlo non vuol dire attaccare le persone. Vuol dire porre un problema, di cui bisogna parlare prima che sia troppo tardi.

L’obiettivo non è la caccia alle streghe. Verissimo, ma trovo curioso accusare di gogna e allo stesso tempo provare a lanciare call out o shitstorm senza preoccuparsi delle conseguenze sulle vite reali delle persone. Invece di mettere qualcunә alla berlina, si tratta di capire come si muove il potere anche dentro gli spazi che riteniamo nostri, nelle nostre reti online e offline, nei nostri linguaggi. Perché è di questo che stiamo parlando: di meccanismi di potere, di chi li esercita e di come li possiamo disinnescare. 

Mi piacerebbe sapere cosa pensi del contenuto di questa settimana. Se lo ritieni importante, aiutami a diffondere questo lavoro: non solo condividendolo, ma anche parlandone a scuola, in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro. Se hai segnalazioni da fare, vuoi raccontarmi la tua esperienza, o pensi ci sia un argomento su cui è necessario fare luce, scrivimi a streghe@fanpage.it.

Ci sentiamo alla prossima puntata. Ti ricordo che ‘Streghe’ non ha un appuntamento fisso: esce quando serve. E dove serve, noi ci siamo.

Ciao!

Natascia Grbic

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Femminicidi, misoginia e cultura dello stupro dominano la nostra società, intrisa di odio verso le donne. La "caccia alle streghe" non è un fenomeno così lontano nel tempo, perché tra istituzioni indifferenti e media inadeguati o complici, gli uomini continuano ad ammazzare le donne quando non riescono a dominarle.  È ora di accendere i nostri fuochi e indirizzarli dove non si voleva guardare: Streghe è il nostro Osservatorio sul patriarcato, il nostro impegno per cambiare il modo in cui si raccontano le storie alla base di una società costruita a misura di uomo.

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