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negli ultimi giorni non si parla di altro: tra ‘Phica’ e ‘Mia Moglie’, le conversazioni online e offline vertono principalmente su questo: le centinaia di migliaia di uomini che condividevano foto e video non consensuali di donne sul web, commentandole in modo violento. Uno stupro digitale collettivo, protrattosi impunemente per anni, di fronte all'indifferenza delle forze dell'ordine e delle istituzioni, che non hanno mai affrontato il problema nonostante le numerose denunce. Mi sono chiesta cosa spinga tanti uomini a creare e frequentare questi siti, e soprattutto da dove nasca il bisogno di commentare con odio e violenza i corpi delle donne. Ho provato a dare qualche risposta, ma ho anche tante domande.

L’ondata di rabbia che si è generata quando sono esplosi i casi di ‘Phica' e ‘Mia moglie' è perfettamente normale, così come è perfettamente normale provare ad analizzare la situazione da ogni punto di vista. Chi c’è dietro questi siti? È vero che estorcevano soldi a chi voleva cancellarsi? Quanti gruppi esistono ancora in chiaro e sul dark web?

E ancora: è una vergogna nei confronti delle donne, la dimostrazione che ‘not all men ma insomma non se ne salva uno’, e il sintomo di una società che affonda le sue radici nel patriarcato più marcio. Ed è tutto vero. Mi sono però chiesta una cosa, che secondo me è utile capire per provare a scardinarla: per quale motivo sempre più uomini e adolescenti sono spinti a commentare in quel modo foto di donne che spesso nemmeno conoscono? Qual è il meccanismo mentale che li porta a odiare così tanto una donna, una ragazza, da rubare le sue foto e riversarle addosso una quantità di violenza tale che genera spavento?

Non so te, ma a me non verrebbe mai di prendere una foto di Chris Hemsworth e dire oscenità, ma non mi verrebbe mai in mente di farlo manco con quel ragazzo che mi ha ghostata al terzo appuntamento e non si è più fatto sentire. Non è che penso ‘non si fa’, è che proprio non mi verrebbe mai di farlo. Come si spiega questo?

Già tra gli anni '90 e il 2000 un numero significativo di studi – da  R. W. Connell, a Pierre Bourdieu, fino a Elisabetta Ruspini – ha sottolineato come le trasformazioni economiche (seguite alla globalizzazione), e quelle sociali e culturali (seguite al femminismo) abbiano messo in crisi le identità e i ruoli maschili tradizionali. Così, l’estensione del lavoro femminile, in un contesto segnato sempre più dalla precarietà e dalla progressiva perdita di diritti, ha finito per mettere in discussione non solo chi fosse l’unico a ‘portare il pane a casa', ma anche chi riuscisse, in concreto, a farlo. L'autorità di quello che una volta era considerato il ‘capofamiglia' si è progressivamente sgretolata. La critica a una visione della sessualità in termini di ‘predatore – preda' ha superato la concezione dell'uomo come soggetto sessuale attivo e della donna come passivo. Si parla di consenso, che deve essere esplicito, e si parla di relazioni paritarie, dove non vi sia una figura che domina l’altra.

Il problema è che alla decostruzione del maschile non è seguita una vera ricostruzione, un riposizionamento sociale in grado magari anche di sviluppare in modo consapevole l'identità in direzioni che un tempo sarebbero state impensabili (pensiamo al diritto all'affettività o anche all'emotività). Uno sviluppo c'è stato, ma si è dato in modo scomposto, ed è stato affrontato con rabbia, paura e violenza. Molti uomini non vivono questo cambiamento come un'evoluzione, ma come una perdita. E credono che quella perdita, combinata agli effetti di una crisi di portata più ampia rispetto al loro mondo di riferimento, sia colpa delle donne, che sentono come responsabili di aver sottratto loro un potere che prima davano per scontato. Un potere che percepivano come proprio, quasi fosse un diritto naturale, alla base stessa del loro senso di esistere socialmente. In una società sempre meno capace di pensare in termini collettivi e di riconoscere l'origine sistemica di certi cambiamenti, prevale l'attribuzione individuale di responsabilità: dal migrante alla donna, chiunque può diventare il capro espiatorio di ciò che non funziona nella propria vita. L’emancipazione femminile non è vista come un progresso, ma come espropriazione di potere. Così, quelle stesse donne diventano il bersaglio: da punire, da ridicolizzare, da insultare. Con la violenza, con gli abusi, con lo scherno. Nel corpo e nell’immagine, nella vita reale e nello spazio digitale. Allo stesso tempo, ancora oggi molti ragazzi, anche i giovanissimi, pensano che il loro ‘essere uomini’ debba essere misurato in termini di conquista. Non si è ‘uomini veri’ se non si riesce ad avere una donna (e se possibile anche più di una) da mostrare.

Ragazze che non vengono viste come partner in una relazione, ma come trofei da esibire. Ma quando questa conquista non c’è, quando non ci sono relazioni, né affettive né sessuali, il dito viene puntato contro le donne. Che diventano troppo autonome, libere, selettive, interessate alla carriera o semplicemente desiderose di coltivare i loro interessi. E così i ragazzi covano risentimento, dando la colpa delle loro relazioni mancate all’autodeterminazione femminile. Se questa non ci fosse stata, pensano, anche loro avrebbero avuto la loro ‘quota’. Fino a sviluppare come strategia alternativa, quella del rifiuto e del disprezzo incel. Rubare foto e video, diffondere senza consenso, creare uno spazio virtuale anonimo dove poter commentare in modo violento. E sfogarsi, sfogarsi, sfogarsi ancora. Commento dopo commento.

Che sia chiaro: quanto dico non è un modo per essere comprensive con le paturnie del maschile o ricondurre a un livello di accettabilità le notizie degli ultimi giorni. Non parliamo di vittime, ma di carnefici. Tuttavia spesso si fatica a cogliere il legame tra fenomeni come questo e la violenza in cui a volte sfocia, fino al femminicidio. Quando il tappo dell'autocontrollo salta, e la frustrazione si trasforma in aggressione fisica. Ecco, probabilmente fenomeni come quello di ‘Phica' e ‘Mia moglie' ci aiutano a individuare questa continuità e a farci carico del problema del retaggio patriarcale contemporaneo nella sua interezza, senza sottovalutazioni o riduzioni degli atti criminali a semplici ‘raptus'.

Dovremmo iniziare a capire che amare non significa possedere, e che non esiste un solo modello di mascolinità — tanto meno quello dominante, che spesso è tutt'altro che sano. Serve imparare ad ascoltarsi, a mettere in discussione i ruoli imposti, e riconoscere che il patriarcato non opprime solo le donne, ma danneggia seriamente anche gli uomini. Se provi un senso di smarrimento di fronte a tutto questo ci può anche stare, ma non lo tollereremo quando sarà trasformato in odio. E attenzione: reagiremo, non staremo ferme e zitte. Il vestito da crocerossine lo abbiamo buttato al secchio già molto tempo fa. La cultura misogina interiorizzata, che finora vi ha permesso di agire impuniti, deve finire.

Mi piacerebbe sapere cosa pensi del contenuto di questa settimana. Se lo ritieni importante, aiutami a diffondere questo lavoro: non solo condividendolo, ma anche parlandone a scuola, in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro. Se hai segnalazioni da fare, vuoi raccontarmi la tua esperienza, o pensi ci sia un argomento su cui è necessario fare luce, scrivimi a streghe@fanpage.it.

Ci sentiamo alla prossima puntata. Ti ricordo che ‘Streghe’ non ha un appuntamento fisso: esce quando serve. E dove serve, noi ci siamo.

Ciao!

Natascia Grbic

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Femminicidi, misoginia e cultura dello stupro dominano la nostra società, intrisa di odio verso le donne. La "caccia alle streghe" non è un fenomeno così lontano nel tempo, perché tra istituzioni indifferenti e media inadeguati o complici, gli uomini continuano ad ammazzare le donne quando non riescono a dominarle.  È ora di accendere i nostri fuochi e indirizzarli dove non si voleva guardare: Streghe è il nostro Osservatorio sul patriarcato, il nostro impegno per cambiare il modo in cui si raccontano le storie alla base di una società costruita a misura di uomo.

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