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È notizia di poche ore fa che tra gli admin del gruppo Facebook ‘Mia moglie’ ci sarebbe anche una donna. Esultano i negazionisti della violenza di genere, chiedono ‘E adesso come la mettiamo col patriarcato?’. Ma il discorso è molto più complesso, e non sposta di una virgola la radice misogina e machista di quanto è accaduto.

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Sì, pare che il gruppo Facebook ‘Mia moglie’ fosse amministrato anche da una donna. E da qui levata di scudi di (ehy, not all men!) ALCUNI uomini che chiedono in tono sarcastico come la mettiamo adesso col patriarcato, discorsi di assoluzione, negazione della violenza di genere. Un copione noto: si sostiene che “esista solo la violenza in generale”, senza differenze tra uomini e donne.

Voglio rompervi subito le uova nel paniere: non me ne frega una mazza se una delle admin del gruppo ‘Mia moglie”’ potrebbe essere una donna. Il patriarcato non è un sistema che riguarda solo gli uomini. Sin da quando siamo bambinə, siamo immersi in codici culturali e sociali che ci dividono in base al genere. E, per quanto possiamo resistere, assimiliamo quei codici.

Succede a una bambina che osserva sua madre, a un bambino che osserva suo padre. Poi si esce di casa, si va a scuola, e la socializzazione maschi/femmine diventa ancora più netta e preponderante. La società è strutturata in modo binario e riconosce solo due generi, così come, ad esempio, l’industria culturale. Sin dall’infanzia, a parte rare eccezioni, siamo bombardatə da cartoni animati, film, canzoni che ci dividono rigidamente in maschi e femmine.

Stereotipi, semplificazioni, discriminazioni ci accompagnano dalla nascita, e impariamo a comportarci di conseguenza, assumendo atteggiamenti ‘da maschio’ o ‘da femmina’ in base a ciò che osserviamo e interiorizziamo. Il patriarcato non riguarda solo gli uomini, riguarda tuttခ.

Possiamo però scegliere: interiorizzarlo o combatterlo. Per me, chiaramente, la seconda opzione è preferibile, ma ci sono tantissime persone che non vedono alcun problema in questo ordine sociale. Un ordine al quale devi adeguarti, altrimenti diventa violento. Meglio farne parte e acquisire la posizione della parte dominante.

Meglio essere carnefice che vittima.

Ne ho parlato con la pedagogista Alessia Dulbecco, autrice del libro per Edizioni Tlon ‘Si è sempre fatto così’, in cui si analizzano gli stereotipi che limitano la vita delle persone sin dall’infanzia “Questa notizia in realtà non altera minimamente ciò che è accaduto. Ho letto su varie testate: ‘allora si ribalta la narrazione!’. No. In realtà non si ribalta, almeno per quelle persone che non hanno mai pensato al problema (nel caso di ‘Mia moglie’, ma anche ‘Phica’, eccetera) come a una battaglia fra i sessi. Non abbiamo mai ragionato in termini di ‘donne vittime e uomini tutti cattivi, aggressori’, come se fossero due compartimenti stagni. Per chi si è sempre concentrato sulla questione del potere, che permette a un genere di sopraffare l’altro, la narrazione non cambia minimamente. E noi – noi inteso come gruppo di persone che lavora nei femminismi e negli studi di genere — abbiamo sempre dato rilevanza proprio a questa dimensione”.

Alcune persone ritengono che, siccome sei donna, allora automaticamente non partecipi a certe dinamiche: ma secondo me sbagliano proprio le premesse. Come donne e uomini cresciamo all’interno dello stesso ordine culturale e assimiliamo esattamente lo stesso tipo di mandato. Non è che alle donne venga installato una sorta di microchip che le rende automaticamente femministe. Quindi non è che una donna, per definizione, non possa copartecipare alle dinamiche del potere patriarcale. Ce ne rendiamo conto anche da un punto di vista politico, e penso di non dire nulla di nuovo”.

Un altro dato che mi piace rilevare è l’attenzione morbosa che si sta concentrando, in questi giorni, sulla violenza agita dalle donne. Penso, per esempio, alla donna che ha ucciso il figlioletto a Muggia, all’altra che ha fatto lo stesso a Calimera.  E questo, secondo me, è un dato interessante: il fatto che ci sia questa forte attenzione al ‘eh, vedi? anche le donne alla fine sono cattive come gli uomini’. Su questo sarebbe importante soffermarsi. Perché notizie come quella di una donna che uccide suo figlio o sua figlia — o due, come è accaduto recentemente — diventano immediatamente preponderanti nella narrazione. E l’attenzione che diamo, per esempio, al caso del padre che denuncia la pericolosità della sua ex partner annulla tutta una serie di casi che riguardano invece ruoli invertiti. Penso al caso di Federico Barakat, uno dei primi bambini uccisi dal proprio padre, peraltro in un contesto di incontro protetto: un caso che avrebbe dovuto fare molto più scalpore di quanto poi abbia fatto, nonostante siano passati molti anni. Penso anche alle morti di Alessia e Martina Capasso (e al ferimento della madre) o quelle di Alessia e Livia Schepp, avvenute sempre per mano del proprio genitore. Hanno avuto la stessa copertura mediatica, se confrontate al delitto di Cogne, o all’infanticidio commesso da Pifferi?”.

La violenza agita dalle donne esiste, ovviamente, ma dovrebbe essere comunicata in modo appropriato. Altrimenti finiamo per dare un’enorme rilevanza a questi episodi, cancellando tutte le notizie che riguardano le donne come vittime, come soggetti di episodi di violenza. E, allo stesso tempo, si amplifica eccessivamente la figura della donna ‘aggressora’, scavando in dettagli assolutamente irrilevanti dal punto di vista della cronaca. Perché ci si focalizza di nuovo sul frame della relazione tra i due soggetti coinvolti — nei casi di Muggia e Calimera, il padre che denuncia e la ex partner violenta sul figlio — e ci si dimentica della cornice sociale dentro cui queste dinamiche si manifestano e continuano a riprodursi”.

Mi piacerebbe sapere cosa pensi del contenuto di questa settimana. Se lo ritieni importante, aiutami a diffondere questo lavoro: non solo condividendolo, ma anche parlandone a scuola, in famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro. Se hai segnalazioni da fare, o pensi ci sia un argomento su cui è necessario fare luce, scrivimi.

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Ci vediamo alla prossima puntata. Ti ricordo che ‘Streghe’ non ha un appuntamento fisso: esce quando serve. E dove serve, noi ci siamo.

Ciao!

Natascia Grbic

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Femminicidi, misoginia e cultura dello stupro dominano la nostra società, intrisa di odio verso le donne. La "caccia alle streghe" non è un fenomeno così lontano nel tempo, perché tra istituzioni indifferenti e media inadeguati o complici, gli uomini continuano ad ammazzare le donne quando non riescono a dominarle.  È ora di accendere i nostri fuochi e indirizzarli dove non si voleva guardare: Streghe è il nostro Osservatorio sul patriarcato, il nostro impegno per cambiare il modo in cui si raccontano le storie alla base di una società costruita a misura di uomo.

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