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come ti avevamo promesso, Rumore non è in vacanza e continua a farti compagnia. Chi è in vacanza, invece, è il nostro direttore Francesco Cancellato, che si sta godendo qualche meritato giorno di riposo. Così oggi tocca a me, il condirettore, darvi il benvenuto e a introdurre questa puntata di Rumore, in cui abbiamo cercato di rispondere ad alcune delle domande che sono giunte in questi giorni così complessi e convulsi.

Iniziamo con le vostre domande e le risposte della redazione di Fanpage.it.

  • Com'è possibile che un esercito ben armato ed efficiente come quello israeliano non sia riuscito in quasi due anni a occupare un territorio limitato come la striscia di Gaza? – Velia

Ciao Velia, la decisione di Benjamin Netanyahu di colonizzare la Striscia di Gaza ha generato forti tensione tra i vertici del governo e quelli dell'esercito israeliani, tanto che il Capo di Stato Maggiore dell'IDF – generale Eyal Zamir – è stato esplicitamente invitato a dimettersi in caso di dissenso. Quest'ultimo infatti aveva manifestato una serie di perplessità rispetto al piano di occupazione della Striscia per una serie di ragioni: la necessità per le forze armate di provvedere integralmente alla sopravvivenza della popolazione palestinese, il rischio che molti più soldati perdano la vera nella guerriglia urbana e soprattutto quello che vengano uccisi gli ostaggi ancora in vita.

Come spiega Giuseppe Dentice, analista esperto di Medio Oriente presso l’Osservatorio sul Mediterraneo (Osmed) – che abbiamo interpellato – "la Striscia di Gaza è un territorio difficile da controllare tanto in superficie quanto nel sottosuolo per via dell'ampia conoscenza e totale controllo dell'area da parte di Hamas e delle altre milizie armate lì presenti". Inoltre la superiorità militare israeliana non significa in automatico capacità di vittoria. "Infatti – aggiunge Dentice – dopo due anni Hamas è fortemente indebolita ma non distrutta e l'esercito israeliano non è in grado di controllare il territorio perché le milizie palestinesi sono talmente radicate e in grado di agire con attacchi di guerriglia da mettere in pericolo le stesse forze armate israeliane. Queste sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto il Capo di Stato maggiore dell'esercito israeliano Zamir a criticare la scelta del governo Netanyahu nel tentativo di rioccupate Gaza". Insomma, Velia, nonostante Gaza sia stata affamata e rasa al suolo, e nonostante Israele sia dotata di uno degli eserciti più efficienti del mondo, la resistenza palestinese non ha nessuna intenzione di arrendersi, né di far occupare definitivamente la Striscia di Gaza.

Davide Falcioni – area Cronaca

  • Perché il nostro governo non riesce a parlare di genocidio? – Rosa

Cara Rosa, perché non vuole. Non è un’incapacità semantica, ma una scelta politica. Chiamare “genocidio” ciò che sta accadendo a Gaza significherebbe rompere l’asse politico e commerciale con Israele. Vorrebbe dire mettere in discussione forniture militari, cooperazioni industriali, relazioni diplomatiche. Vorrebbe dire rompere anche con i suoi alleati più stretti, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, e il governo italiano, guidato da una destra che parla ossessivamente di “Occidente” e “radici cristiane”, non ha alcuna intenzione di farlo. Il blocco però non è solo politico, è anche culturale e simbolico. In Italia, e in gran parte dell’Occidente, la parola genocidio è stata “blindata” nella memoria della Shoah. È diventata quasi una proprietà esclusiva, legata a un trauma fondativo dell’Europa contemporanea, un totem che non si può toccare senza sentirsi colpevoli di profanazione. Usarla per Gaza viene percepito come un atto offensivo verso quella memoria e verso le vittime del nazismo. È come se il riconoscimento universale della Shoah, invece di insegnarci che Mai più vale per tutti, ci avesse condotti a un Mai più a senso unico.

Questo meccanismo non è neutro. Negli ultimi decenni, la memoria istituzionale dell’Olocausto è stata modellata anche per proteggere Israele dalle critiche radicali: è accaduto nei musei, nelle giornate commemorative, nelle definizioni ufficiali di antisemitismo che, di fatto, equiparano certe accuse, come chiamare Israele uno Stato razzista o tracciare parallelismi con politiche naziste, a odio antiebraico. Così, la Shoah è diventata un “ombrello” simbolico sotto cui si legittimano occupazione, apartheid e oggi il massacro a Gaza, trasformando una memoria nata per prevenire proprio i genocidi in un fattore che può invece permetterli.

Il diritto internazionale in Italia viene agitato come una bandiera quando serve a respingere migranti o a condannare nemici geopolitici, ma scompare quando potrebbe toccare un alleato strategico. Continuare a proteggere il termine genocidio come se appartenesse solo a un capitolo chiuso della storia europea significa privarlo della sua funzione principale: descrivere e fermare lo sterminio di un popolo, ovunque avvenga e chiunque lo subisca.

Non siamo soli in questo silenzio, gran parte dell’Europa ha scelto di non vedere, ma il risultato è che ogni giorno in cui le nostre istituzioni si rifiutano di pronunciare quella parola, non solo si tradisce Gaza, si tradisce anche la memoria della Shoah. Perché se “Mai più” vale solo per alcuni, allora non vale più per nessuno.

Francesca Moriero – area Politica

  • Ho letto che si potrebbe andare alle elezioni anticipate per blindare il governo Meloni altri cinque anni. Ditemi che è una fake – Ambra

Ciao Ambra, è vero che in politica può succedere di tutto e le sorprese sono sempre dietro l’angolo, ma mi sentirei tranquillamente di escludere la possibilità che si vada alle elezioni anticipate, almeno nel breve periodo. Ci sono una serie di ostacoli, anche di natura tecnica, che sconsiglierebbero, o meglio che renderebbero impossibile, recarsi alle urne nel breve volgere di qualche mese. Fra poche settimane, infatti, il governo dovrà cominciare a lavorare alla legge di bilancio, il provvedimento più importante dell’anno, che si annuncia particolarmente impegnativo, soprattutto in considerazione del mutato quadro internazionale, dai dazi all’instabilità provocata dai conflitti in Medio Oriente e in Ucraina.

Ci sono poi delle ragioni di natura più strettamente politica, che mi sentirei di riassumere con una frase: a Meloni non conviene andare a votare in questo momento, semplicemente perché non ha alcun ostacolo potenziale nella sua azione di governo. Giorgia Meloni ha dimostrato in questi mesi di essere pienamente in controllo della situazione e di saper relegare le schermaglie tra le altre anime della maggioranza a quello che sono: piccole beghe alla ricerca di visibilità e di consenso personale. Ciò non significa, però, che Giorgia Meloni resterà a galleggiare, perché, malgrado la propaganda che è coincisa soprattutto con l’anniversario dei mille giorni di governo, la presidente del Consiglio si rende benissimo conto di aver promesso una rivoluzione e di aver dato sostanzialmente agli italiani la conservazione, fatta eccezione per qualche provvedimento spot che è riuscita a portare a casa. Le grandi architravi del progetto di governo di Giorgia Meloni sono rimaste praticamente tutte sulla carta. Non so dirti se per fortuna o purtroppo.

Questo vuol dire che è molto probabile che nei prossimi mesi assisteremo a un’accelerata nel tentativo di portare a casa non solo provvedimenti che possano essere apprezzati dal proprio elettorato di riferimento, ma anche nell’avviare quella trasformazione dell’Italia nel laboratorio della nuova destra identitaria che Giorgia Meloni ha promesso alla sua base e che finora non è riuscita neanche ad abbozzare.

La cosa a cui, invece, dovremmo prestare particolare attenzione è il modo in cui verranno preparate le elezioni politiche del 2027, quelle sì decisive per il futuro del nostro Paese. Questo perché nel 2027 si eleggerà il Parlamento a cui toccherà l’indicazione del nuovo Presidente della Repubblica, uno snodo cruciale anche considerando il modo in cui si sta evolvendo lo scenario internazionale. È evidente che la destra italiana conta di eleggere un proprio uomo al Quirinale dopo anni in cui, secondo loro, è stato l’altro schieramento a nominare il Capo dello Stato. Ora il punto è capire che il 2027 potrebbe essere una data cruciale che sposterà gli equilibri del Paese per decenni, ed è anche per questo che l’opposizione dovrà farsi trovare pronta. E anche noi cittadini.

Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua.

Adriano Biondi – condirettore Fanpage.it

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