
Due giorni fa c'è stato un clamoroso passo indietro da parte della maggioranza di centrodestra sul tema dell'educazione sessuale in classe, durante la discussione generale del ddl Valditara sul consenso informato, e in particolare sul divieto di educazione sessuale alle medie. Il provvedimento impedisce qualsiasi iniziativa sui temi legati alla sessualità alla scuola dell'infanzia e alle elementari, e obbliga gli istituti a chiedere il consenso dei genitori alle medie e alle superiori. Dopo le contestazioni, la Lega ha cambiato idea e ha tolto il divieto di proporre l'educazione sessuale anche alla scuola secondaria di primo grado. A breve il testo sarà approvato, ma le polemiche non si fermano, anche perché proprio lunedì, con un timing sicuramente non casuale, visto lo scontro acceso in Parlamento, il ministero ha diffuso dei dati, per dimostrare che il progetto per il contrasto alla violenza contro le donne, pensato per le scuole secondarie e lanciato nel 2023, sulla base delle nuove Linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica, sta funzionando.
Dal monitoraggio emerge che il 97% delle scuole che ha partecipato all'indagine del MIM ha avviato in questi anni attività specifiche sull'educazione alle relazione. Stando a queste percentuali, il progetto ha avuto una risposta importante. Visto il successo, autodichiarato dal governo, la domanda nasce spontanea: perché continuare a ostacolare l'accesso all'educazione sessuo-affettiva per i ragazzi, quando i dati scientifici dicono che nei Paesi in cui questa è un insegnamento obbligatorio ci sono meno gravidanze precoci, meno malattie sessualmente trasmissibili e i giovani hanno più competenze socio-emotive?
IL TEMA DEL GIORNO
Raimo a Fanpage.it: "Classi pollaio? Valditara dimentica le differenze tra zone urbane e aree interne spopolate"

Lo scorso 4 novembre Valditara, parlando dell'obiettivo di personalizzare la didattica, ha detto: "Il numero degli alunni per classe non fa la differenza e studi Invalsi ci confermano che quando il rapporto docenti/studenti è troppo basso il rendimento non migliora, anzi peggiora". Per questo la sua ricetta è piuttosto il potenziamento dell'organico (una misura che però non si trova nella legge di Bilancio). Abbiamo chiesto a Christian Raimo, docente, attivista e scrittore, di commentare questa dichiarazione.
Cosa c'è che non va nelle parole del ministro sul numero di studenti in classe?
"Valditara da qualche settimana cita questo studio Invalsi, che però non è stato ancora diffuso. Ci fidiamo della sua parola, ma vorremmo conoscere quei dati che cita nel dettaglio, per capire la posizione ministeriale. Anche perché i dati possono prestarsi a diverse interpretazioni. E tra l'altro l'Invalsi è un ente pubblico di ricerca, sarebbe opportuno rendere noto lo studio ai fini del dibattito, visto che con questo governo sono sorti dubbi sull'indipendenza dell'istituto. Poi c'è un secondo problema".
Quale?
"Il ministro sembra confondere due temi differenti: un conto sono le classi con un numero troppo basso di studenti, tutt'altra questione sono le classi con un numero sufficientemente basso di alunni. È chiaro che fare lezione con una classe di 8 o 10 studenti riduce il valore della cooperazione tra pari. Ma questo non vuol dire che con un'aula di 30 persone migliora la qualità del lavoro e si ottiene una didattica personalizzata. Ricordiamo che è in corso la raccolta firme per la legge di iniziativa popolare promossa da Avs per limitare a 20 il numero di alunni per classe, e per ridurlo a 18 o 15 in presenza di ragazzi con disabilità che richiedono un'attenzione maggiore".
Nessuno insomma sta chiedendo di creare classi di 5 o 10 alunni.
"Esattamente. Il punto è che la media di alunni per classe in Italia non è particolarmente alta, ma ci sono comunque molte differenze tra Nord e Sud e tra zone urbane e aree interne".
La media per classe anzi è inferiore a quella di molti altri paesi europei come Francia e Germania.
"Nel nostro Paese abbiamo però aree interne quasi spopolate, dove le classi hanno un numero molto esiguo. Nelle aree urbane abbiamo invece classi di 25-30 persone e magari 5 o 6 ragazzi con disabilità, per cui fare lezione diventa molto complicato".
È sbagliato, dunque, affermare che il numero di studenti non incide sugli apprendimenti?
"Paolo Landri, sociologo dell'educazione, in un articolo ragiona sulla numerosità delle classi, in modo più complesso. Il ricercatore sostiene che non conta soltanto la media degli apprendimenti ma anche la qualità della relazione educativa. Pur trovandoci in presenza di classi in cui la numerosità e la cooperazione tra pari sostiene il livello della qualità degli apprendimenti, possiamo riscontrare deficit importanti nella relazione educativa tra docenti e studenti".
Valditara pone l'accetto sul potenziamento degli organici, una misura che non c'è nella manovra. Non le sembra paradossale?
"In manovra c'è un aumento della spesa per le scuole paritarie, pari a 88 milioni di euro, che portano la dotazione complessiva a 886 milioni dal 2026. Oltre a un finanziamento aggiuntivo per il prossimo anno di 50 milioni di euro per gli Its Academy. Due misure che sono la cifra di questo governo. E da quest'anno, nelle classi dove gli studenti di origini straniere con difficoltà linguistiche siano uguali o superiori al 20%, c'è una graduale introduzione dei docenti di potenziamento dedicati all’insegnamento dell'italiano per stranieri. Si tratta di un provvedimento che a mio avviso non facilita l'inclusione scolastica, ma crea forme di ulteriore ghettizzazione".
L'APPROFONDIMENTO
Contratto docenti, la parola agli insegnanti: "Aumenti fino a 150 euro? Una presa in giro, non avremo nessun potere d'acquisto"
Esattamente una settimana fa, il 5 novembre, è stato firmato il contratto nazionale del comparto Scuola per il triennio 2022-2024. Un risultato che il ministro dell’Istruzione Valditara ha definito “storico”, dal momento che tra le novità più importanti il testo prevede aumenti fino a 150 euro mensili per oltre 850mila docenti. Aumenti che in busta paga variano considerevolmente in base al profilo professionale e all’anzianità di servizio. Eppure, non è tutto oro quel che luccica. Anzi.
Ad essere delusi dall’accordo raggiunto sono proprio gli insegnanti che, seppur parlano di un piccolo passo in avanti a livello contrattuale, definiscono la firma del documento un “contentino”. E abbiamo chiesto direttamente a loro il perché. “Per il momento non abbiamo avuto niente e se gli arretrati ce li accreditano a dicembre, ci saranno molte trattenute…ennesima presa in giro. Piuttosto si dovrebbe parlare dei buoni pasto giornalieri che vengono riconosciuti a molte categorie e che davvero possono aiutare una famiglia a mettere il piatto in tavola”, ci dice Gloria, docente di una scuola secondaria della provincia di Caserta.
Per Maria, che pure insegna alle superiori, “ciò che immediatamente salta all’occhio è, naturalmente, l’introduzione dei tanto attesi aumenti stipendiali per i docenti, che rappresentano di certo un riconoscimento economico ma, considerati l’inflazione e il costo della vita, il valore reale del salario rischia di essere ancora insufficiente e comunque non ancora proporzionato alle richieste professionali, specialmente per i docenti della scuola secondaria di secondo grado, spesso impegnati con la gestione di attività complesse, classi numerose e responsabilità elevate. Importanti sono anche i nuovi permessi retribuiti per motivi personali/familiari e le nuove misure riguardanti i congedi. Dal mio punto di vista, posso considerare il nuovo contratto come un passo avanti ormai necessario e tanto atteso, ma non ancora risolutivo e sufficientemente trasparente a causa di queste criticità”.
Passando dalle superiori alle medie le problematiche sono sempre le stesse. Addirittura Marcella, che insegna Storia in un istituto della secondaria di primo grado della provincia di Napoli, ha definito la firma del contratto “fumo negli occhi”. Il motivo è presto detto: “Con quello che ci daranno non avremo un reale potere d’acquisto. Ci sono certo gli arretrati ma non si sa quando arriveranno. Il nostro lavoro è nettamente sottopagato e per di più non ci sono soldi neanche per farci svolgere in maniera dignitosa il nostro lavoro. Ci sono situazioni di frontiera in cui dobbiamo persino risolvere il problema della mancanza di carta igienica nei bagni”.
Infine, Anna: “Gli insegnanti riceveranno tra i 900 e i 1400 euro di arretrati, cifre che possono sembrare importanti. Ma se le confrontiamo con l’aumento del costo della vita e con l’inflazione, si vede che si tratta di un adeguamento irrisorio. Viviamo in una società in cui il valore delle persone è legato alla capacità di consumo, e in questo contesto la figura del docente è sempre più svilita. Eppure abbiamo la responsabilità di formare i cittadini del futuro. Io questa legge la vedo non come un traguardo ma piuttosto come un punto di partenza che potrebbe andare nella direzione giusta qualora venisse implementata la proposta”.
L'EVIDENZIATORE
Sapevi che ieri è stata celebrata per la prima volta la Giornata Nazionale degli Abiti Storici? La curiosità della settimana è dedicata proprio a questa nuova ricorrenza, istituita dalla legge n. 59/2025 e presentata la scorsa settimana a Roma dal Ministro del Turismo Daniela Santanchè e dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
L'obiettivo? "Rafforzare la consapevolezza collettiva delle radici culturali italiane e promuovere la valorizzazione del patrimonio artigianale, manifatturiero e artistico". Il ministro Valditara ha sottolineato che "l’abito storico è bellezza che va coltivata fin da piccoli. Nessuna comunità può avere un grande futuro se non conosce il proprio passato" e ha ricordato che in Italia operano 60 istituti superiori dedicati alle professioni della moda e del restauro tessile. Pertanto, le scuole sono state incoraggiate a partecipare con laboratori, mostre, lezioni tematiche e eventi di ricostruzione storica, per valorizzare competenze trasversali che uniscono storia, arte e design. Cosa è successo nella tua scuola? Hai festeggiato questa nuova ricorrenza?
A cura di Ida Artiaco e Annalisa Cangemi