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Ricevi la rassegna speciale a cura di Adriano Biondi

Nella scorsa puntata della newsletter avevamo parlato della situazione di estrema difficoltà in cui si erano venuti a trovare i leader dell’opposizione nella partita a scacchi con Giorgia Meloni sul possibile confronto sul palco di Atreju, l’annuale kermesse di Fratelli d’Italia. Un appuntamento che è cresciuto in modo esponenziale e che è stato ribattezzato il “Sanremo della politica”. In effetti, ci saranno praticamente tutti i leader politici di rilievo (appunto con le eccezioni di Elly Schlein e Nicola Fratoianni), oltre che una nutrita pattuglia di parlamentari di primo e secondo piano, ospiti di rilievo internazionale (tra cui il presidente dell’Autorità palestinese) e una nutrita schiera di personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo. Su quest’ultimo blocco di ospiti è interessante notare come tanto gli organizzatori quanto i diretti interessati si stiano affannando a precisare come non ci sia necessariamente una comunanza di vedute o qualche affinità ideologica. Poi, certo, a leggere i nomi qualche sospetto viene…
Ma non divaghiamo e concentriamoci sul nocciolo della questione. Atreju è ormai diventata centrale nel dibattito politico, riuscendo nella non semplice impresa di legittimarsi come “luogo di confronto”, nonostante si stia parlando della manifestazione annuale del partito che governa il Paese. Un appuntamento a cui è sempre più difficile sottrarsi, o meglio, a cui si fa a gara per accodarsi, come testimonia la smania di presenziare della minoranza del Partito democratico. Chiunque guardi il programma, in effetti, non può far a meno di esclamare “ah, ma c’è anche lui?”, seguito il più delle volte da una roba tipo “ma perché?”, “che senso ha?”.
I maggiorenti di Fratelli d’Italia sanno come rispondere, trattenendo a stento la soddisfazione. “Questo è un luogo di confronto, non abbiamo paura di dare spazio a chi non la pensa come noi”, è la frase che sentiamo ripetere più spesso da qualche settimana. Quello che manca è la postilla, sicuramente per dimenticanza. Considerando la ritrosia a presentarsi davanti ai microfoni dei giornalisti, l’aggressività con cui si utilizzano posizioni di potere per randellare gli avversari politici, l’utilizzo sconsiderato persino degli account istituzionali per intervenire nel dibattito pubblico, suggerirei la frase completa: “Non abbiamo paura di dare spazio a chi non la pensa come noi, purché le regole le decidiamo noi, il campo lo delimitiamo noi e il confronto sia funzionale a ciò che ci interessa”.
Già, perché c’è sempre una considerazione che sembra mancare nel dibattito sulla necessità di confrontarsi a casa del proprio avversario (ma non solo, vedremo anche il caso Più Libri Più Liberi). Ed è il “motivo” per cui andarci, la ragione per la quale accettare un invito di questo tipo.
Il confronto è il sale della democrazia, frase fatta ma certamente sensata. Ma scegliere di sottrarsi a un tavolo truccato o quando non c’è nulla in palio non vuol dire non voler giocare. Soprattutto se non hai chiaro qual è l’obiettivo. Sul caso Atreju, francamente, mi sembra semplice.
Vai per convincere qualcuno della bontà delle tue idee e proposte? Buona fortuna. Vai per far passare il tuo messaggio nei telegiornali, per esserci all’appuntamento clou del momento? Complicato, sei sempre a casa di altri, con loghi e riferimenti chiari. Vai per tentare il colpo di teatro, sfruttando l’hype sull’evento? Può avere senso, ma devi esserne in grado.
Perché, diciamoci la verità, un certo spazio di confronto c’è già. A cominciare dal Parlamento, dove ogni giorno puoi incalzare il tuo avversario per fare il bene del Paese (in teoria). Sui mezzi di comunicazione, che hanno una funzione centrale in questo senso. In vista degli appuntamenti elettorali, anche qui con un obiettivo chiaro. Ecco, indovinate chi è che spesso e volentieri si sottrae al confronto in questi spazi? E perché proprio Giorgia Meloni?
In sostanza, se è più che legittimo scegliere di andare a confrontarsi con il proprio avversario politico anche in casa sua e con le sue regole (mi resta il grande dubbio sull'obiettivo, certo), allo stesso modo appare eccessiva e strumentale la condanna di chi sceglie di disertare un evento come Atreju. Perché non si tratta di sottrarsi al dibattito, affatto.
Il caso Zerocalcare
Discorso solo in parte diverso per quanto riguarda la kermesse Più Libri Più Liberi. La questione la conoscete: la presenza di una casa editrice che pubblica libri di estrema destra (ma proprio estrema, ecco) ha convinto diversi esponenti del mondo della cultura a ritirare la propria disponibilità alla partecipazione. Tra questi, il fumettista/scrittore Zerocalcare, che ha motivato la sua decisione con un breve video sui suoi canali social, che potremmo riassumere con un lapidario “non voglio condividere alcuno spazio con i nazisti”. Chiaro, semplice, diretto.
Una posizione, che per inciso ci sentiamo di condividere, che ha un duplice scopo. Il primo, quello di ribadire che non può esserci dialogo con chi propaganda idee di un certo tipo che anche qui occorrerebbe ricordare che si collocano al di fuori dell'arco costituzionale. Non ci sono le basi minime per impostare qualunque tipo di discorso.
Anche solo la partecipazione a un evento in cui sono presenti soggetti di questo tipo, in qualche modo, ne costituisce una legittimazione implicita.
In questo dibattito ci sono anche posizioni leggermente differenti. Qui, una piccola avvertenza: ovviamente non riporterò il contributo di chi crede che anche l’apologia del nazismo sia un’opinione da tenere in considerazione o un elemento utile al dibattito pubblico.
Dunque, c’è chi pensa che invece sia importante ugualmente presenziare in quei luoghi, per marcare una discontinuità e per mostrare quanto sia diverso l’approccio liberale da quello illiberale e censorio, che è poi il risultato della propagazione delle teorie e dei libri di cui stiamo parlando.
C’è chi ricorda come la conventio ad excludendum spesso possa portare a una specie di ghettizzazione vittimistica che, in qualche modo, dà più voce o aumenta la circolazione delle idee che si intende censurare.
Posizioni legittime, non c’è dubbio alcuno. Ma andrebbe ricordato che la mobilitazione contro chi pubblica apologie di fascisti e ricordi nostalgici del periodo più triste della storia contemporanea aveva esattamente l’obiettivo di marcare una differenza e ribadire l’opposizione alla normalizzazione di un certo tipo di pratiche.
In questo, ogni ragionamento sulla libertà di espressione come valore assoluto ha poco senso (visto che tale casa editrice opera comunque e da tempo). Perché non si tratta di chiedere interventi arbitrari magari da parte degli organi giudiziari. Si tratta di far valere un principio inderogabile.
Il ruolo dei media
Riguardo poi al compito di un giornale, o di un media in generale, credo che le parole del politologo Cas Mudde possano chiudere la questione:
“Sono sconcertato dal fatto che soprattutto i media liberali sentano la necessità o addirittura l'obbligo di dare spazio all'estrema destra, nonostante ribadiscano di sostenere la democrazia e riconoscano che questa rappresenta una minaccia per i valori democratici. Oltretutto, la maggior parte di questi dibattiti sulla “libertà di parola” sono molto problematici.
Per esempio, alcuni media asseriscono che sarebbe opportuno intervistare i politici di estrema destra o pubblicare i loro op-Ed perché i cittadini dovrebbero conoscere le loro opinioni, dato che fanno parte del dibattito politico. Certo, i cittadini dovrebbero conoscerle, ma dato che gli stessi media considerano l'estrema destra una minaccia ai valori fondamentali che difendono (democrazia liberale, libertà di stampa) e spesso ritengono che vari attori dell'estrema destra agiscano in malafede (cioè che mentano), esistono valide ragioni per non prendere l'estrema destra molto seriamente.
Quindi, invece di darle una piattaforma e farla comunicare direttamente con l’utenza, scrivetene, analizzatene le idee e verificatene le affermazioni”.
Ecco, niente megafono ma un gatekeeping assennato e un’intermediazione necessaria dei contenuti.