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NBA, Ettore Messina raggiunge Belinelli: sarà grande Italia a San Antonio

Ettore Messina torna in NBA. Dopo la stagione ai Lakers e il ritorno al CSKA Mosca, sarà il nuovo assistant coach di Greg Popovich ai San Antonio Spurs. Ritroverà Manu Ginobili e Marco Belinelli, un esempio per tutto lo sport italiano. Perché gli italiani lo fanno meglio all’estero.
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Basket, uomini e altri pianeti. Nel titolo del suo libro c'è l'essenza della vita e della carriera di Ettore Messina, il nuovo assistant coach di Gregg Popovich ai San Antonio Spurs, la squadra campione NBA. Ritrova Marco Belinelli, che ha fatto esordire a 15 anni a Bologna, e Manu Ginobili, punta di diamante della sua magica Virtus nel 2001, l'anno del triplete (campionato, Coppa Italia, Eurolega).

Altri pianeti – Avrebbe voluto arrivarci prima in America, Messina, primo italiano a sbarcare in NBA nel 2011, accanto a Mike Brown ai Los Angeles Lakers. È lui che, in allenamento, si occupa della strategia offensiva del primo quintetto. Un'esperienza, la prima negli Usa, che ha arricchito il miglior tecnico italiano “in tanti aspetti tecnico-tattici e di gioco. Ho visto svolgere allenamenti nei quali il contatto fisico era praticamente azzerato pur mantenendo un livello di intensità molto alto, una meticolosa preparazione delle partite grazie anche all'aiuto di sofisticati software, la profondità nell'analisi pre e post partita”. Dopo una stagione, però, e un'estate da commentatore tv per le Olimpiadi di Londra, torna head coach in Europa, torna al CSKA Mosca, la prima squadra straniera che ha allenato. Nella prima esperienza russa, ha vinto quattro volte di fila il campionato e due volte l'Eurolega, la terza e la quarta della sua carriera. Poi l'arrivederci e l'unica scommessa che ha perso, il Real Madrid. “Non capisco se la stampa di Madrid vuole che le squadre della città vincano o perdanosi lamenta con Mourinho. Al presidente Perez, dopo le dimissioni seguite a una pesante sconfitta contro la Montepaschi Siena, seppur ininfluente con le merengues già sicure del primo posto, spiega che “il Real deve dotarsi di una struttura manageriale che sia anche di supporto e protezione dell'allenatore. Che qui deve fare anche l'istruttore, lo psicologo e pure il domatore”. Al Real, sostiene, nel basket come in fondo nel calcio, “la vera battaglia è convivere con l'anacronistica necessità della vittoria. Oggi l'essenza dello sport è competere ad alto livello. Se poi competi, puoi vincere”.

Legame Mosca-San Antonio – Per la seconda esperienza a Mosca chiama come assistente Quin Snyder, che ritroverà da avversario come head coach degli Utah Jazz. È un seguace di Popovich, ed è stato proprio “Pop” a suggerirgli di partire per un'esperienza europea con Messina. Popovich non è un allenatore come gli altri. Ha passato sei anni all’Air Force Academy, ha prestato servizio nell’Europa dell’Est e considerato l'ipotesi di entrare nella CIA. È un solitario, gli piace passeggiare da solo per vigneti e ha una cantina con oltre 3 mila bottiglie di vino. Non ha dimenticato la sua vita da soldato: spesso va a incontrare i soldati feriti al Brooke Army Medical Center di San Antonio, senza giornalisti al seguito. La visione di Popovich non si limita al basket. Spesso lo vedi interrompere gli allenamenti e mettersi a parlare con i giocatori di politica estera, della situazione in Sudan, o del dibattito interno al partito democratico. Con due uomini così, con un sistema di basket avanzato, giocare a San Antonio sarà come giocare su un altro pianeta.

Big Italy – Un pianeta che è anche l'avamposto italiano più brillante nella geografia dello sport mondiale, grazie alla stella del commosso Marco Belinelli che si è preso la più bella rivincita personale mettendosi al dito l'anello dei campioni. Per Messina, che l'ha lanciato, che l'ha visto crescere da avversario in Italia e che ora lo tornerà ad allenare, il Beli è un esempio per tutti. “Marco è un ragazzo che guarda sempre avanti, che prova a fare le cose difficili, che sgomita, perchè è consapevole di dover mettere sempre il massimo impegno per essere in pace con se stesso anche se le cose non dovessero dare il risultato sperato. Un giocatore che non ha avuto bisogno di regolamenti federali per giocare, di soluzioni politiche per trovare la sua dimensione, un giocare che si è concentrato solo su quello che doveva fare e si è impegnato, ha sgomitato, senza mai aver trovato scuse anche quando stava in panchina e non giocava” ha scritto sul blog che ha tenuto per la Gazzetta dello Sport. “Nell'Nba, così come in tante altre cose della vita, ci sono dei treni che passano e devi saperli non solo riconoscere ma anche aspettare” ha aggiunto in una recente intervista. “Molte volte però le persone finiscono per perdersi nell'attesa, rimuginando sui loro guai e non riuscendo così più riconoscere le occasioni, perché troppo concentrati a guardare le cose che non vanno. Belinelli è invece stato bravo a fare l'opposto: all'ammirevole e invidiabile perseveranza di cui sopra, ha associato la capacità di auto-imporsi una scala di difficoltà graduale, con l'obiettivo di migliorarsi sempre”. Un giocatore che colpisce, ha scritto Messina, perché ha fatto tutte le cose che dovrebbe fare la pallacanestro italiana in questo momento.

La politica – Il problema del basket tricolore, sostiene Messina, non si può ridurre semplicisticamente alla minore disponibilità economica delle squadre rispetto alle big d'Europa. La marginalità di questi anni ha radici profonde, che non valgono solo per la pallacanestro. Se i migliori talenti italiani cercano consacrazione all'estero, dal trio Belinelli-Bargnani-Gallinari in NBA a Ciro Immobile, colpo del mercato estivo del Borussia Dortmund, non è solo perché qui non ci sono abbastanza soldi o perché all'estero ne girano di più. Certo, questa è una parte del problema, ma non è la questione centrale. “Anche nello sport ci portiamo dietro i nostri difetti, i nostri limiti. Siamo un Paese litigioso, diviso su tutto, in cui non c’è collaborazione” diceva Messina, per la cronaca prima del fallimento della nazionale ai Mondiali, degli attacchi di De Rossi alle “figurine” e di Buffon ai giovani del gruppo. “Non c’è disponibilità a riconoscere una buona idea se promossa da un avversario: conta la provenienza dell’idea non il suo valore. Così, come accade in politica e in altri ambiti, nel basket abbiamo le varie leghe che non si mettono d’accordo, e nessuna di loro che va d’accordo con la federazione. Come poter costruire qualcosa di buono in questo contesto?”. Magari, suggerisce, imparando proprio da Belinelli. “Il suo successo insegna che non bisogna sempre cercare alibi, dare la colpa agli altri per spiegare situazioni che non ti soddisfano, ma si deve continuare a lavorare con la volontà di cambiare il proprio destino”.

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