Morte di Arcangelo Correra, il gip: “Gioco mortale tra amici”. Caiafa ha premuto volontariamente il grilletto

Renato Caiafa, dopo avere puntato la pistola contro l'amico, Arcangelo Correra, ha volontariamente premuto il grilletto, anche se probabilmente non si aspettava che l'arma avrebbe sparato: è la conclusione a cui sono giunti gli inquirenti e che ha portato all'ordinanza di custodia cautelare in carcere per il giovane, accusato di omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale. E dalle indagini è emerso che Caiafa non era l'unico ad avere dimestichezza con le armi: secondo quanto risultato, le pistole che giravano nel gruppetto erano almeno due e quello di puntarsela contro era una sorta di gioco.
Il gioco mortale tra gli amici
I fatti risalgono alla notte di sabato 9 novembre 2014; Correra aveva 18 anni, Caiafa 19. Il ragazzo era stato centrato da una pallottola alla testa; era stato accompagnato in ospedale da Caiafa e da un altro dei ragazzi presenti ma era morto poche ore dopo. Successivamente Caiafa si era costituito, parlando di un colpo partito accidentalmente; gli amici che erano presenti con loro hanno fornito versioni che gli inquirenti ritengono omertose: hanno inizialmente detto di non avere assistito al momento dello sparo, per poi rilasciare dichiarazioni diverse alle televisioni e, quindi, interrogati di nuovo, hanno modificato quanto detto in precedenza.
Nell'ordinanza eseguita ieri mattina dalla Squadra Mobile il gip esclude che Caiafa abbia volontariamente ucciso Correra, ma allo stesso tempo sottolinea che il colpo non è partito per sbaglio: c'è stata volontà da parte del ragazzo di premere il grilletto, azione che ha portato allo sparo. Da qui, la contestazione del dolo eventuale: pur non avendo intenzione di uccidere, il 19enne ha messo in atto comportamenti che avrebbero potuto causare la morte dell'amico e ne ha accettato il rischio.
La pistola non era stata trovata: era di Caiafa
Inoltre, per il gip Caiafa non poteva non sapere che quella era una pistola vera: dalle risultanze è emerso che non l'aveva trovata quella notte, come da lui dichiarato, ma che la possedeva già da diversi giorni e che era stato lui a portarla in piazza Sedil Capuano, nel centro di Napoli, quando aveva raggiunto gli amici. Allo stesso modo, già pratico di armi, non poteva non sapere che quella in suo possesso fosse carica e che nel caricatore (potenziato, per contenere 26 colpi) ci fossero dei proiettili.
Quella sera, scrive il gip di Napoli Maria Gabriella Iagulli, facendo sue le deduzioni a cui è giunta la Squadra Mobile e la Procura partenopee, Caiafa "aveva portato quell'arma con sé la sera del fatto ‘per farsi bello agli occhi degli amici'… la mostrava con orgoglio, per sentirsi più sicuro, per ottenere il rispetto degli amici e, ancora più probabilmente, per farsi notare da altri soggetti di caratura criminale ben più elevata".
I test escludono lo sparo accidentale
Secondo la versione resa all'epoca da Caiafa, che pure aveva ammesso di avere puntato l'arma contro l'amico, il proiettile sarebbe partito accidentalmente. I test disposti dalla Procura hanno, però, escluso questa versione: la pistola, che è risultata rapinata circa un anno prima a Napoli, è stata sottoposta a tutti gli accertamenti per appurarne il funzionamento ed è risultata essere perfettamente efficiente.
Il grilletto è stato testato e, per lo sparo, è necessaria una forza di circa 2.8 kg in azione singola (quindi quando il colpo è già in canna) e circa 6 chili per doppia azione (quindi perché il meccanismo carichi la pallottola dal caricatore e la esploda): una forza che, ritengono gli inquirenti, è del tutto incompatibile con uno sfioramento. Inoltre, altri test hanno escluso un malfunzionamento dell'arma che avrebbe potuto portare a uno sparo accidentale: la pistola, col proiettile in canna (una cartuccia senza ogiva per motivi di sicurezza) è stata colpita e fatta cadere più volte ma non ha sparato.