Martina Carbonaro uccisa a 14 anni dall’ex di 18: perché succede sempre più spesso e non basta più indignarsi

di Margherita Carlini
Essere uccisa a 14 anni, dal ragazzo che avevi amato e che diceva di amarti. E’ successo solo qualche giorno fa, ad Afragola. Martina era uscita di casa lunedì pomeriggio, sembra per mangiare un gelato con delle amiche, poi aveva incontrato Alessio. Sono molti gli aspetti ancora da chiarire. Se Martina abbia accettato volontariamente di seguirlo per parlare della loro relazione o se invece sia stata in qualche modo costretta. Quello che è certo è che Martina è stata ritrovata morta, in una casa diroccata. Gli inquirenti sono arrivati al suo corpo seguendo le indicazioni di Alessio, indicazioni che lo stesso avrebbe fornito dopo aver confessato il femminicidio.
L’avrebbe uccisa, colpendola con una pietra o a bastonate, per poi occultarne il corpo, perché lei aveva scelto di lasciarlo e non voleva tornare con lui. Trattata come un oggetto che si ha la pretesa di possedere, un oggetto non una persona, che nel momento in cui tenta di autodeterminarsi viene riportato al suo posto, con la forza, se necessario anche con la morte. Per imporre la propria volontà sull’altra, nella totale incapacità di gestire un rifiuto.
Il femminicidio di Martina, 14 anni, uccisa dal suo ex fidanzato di 18 per quanto inaccettabile, è purtroppo un evento in linea con il crescendo di situazioni di violenza in età precoce che vengono registrate anche attraverso gli accessi ai Centri Antiviolenza. Vittime ed autori sempre più giovani che entrano in relazione tra loro replicando dinamiche maltrattanti tipiche delle relazioni adulte.
Si parla di “teen dating violence” (TDV) proprio per definire quei comportamenti aggressivi che gli adolescenti pongono in essere durante le loro prime relazioni di intimità. Replicando ruoli ed atteggiamenti stereotipati che inevitabilmente regolano e condizionano il sistema delle relazioni. Da un’indagine condotta un campione di adolescenti risulta ad esempio che per il 39% di loro, le ragazze siano naturalmente più inclini a sacrificarsi per il bene della coppia. In molti confondono la gelosia con una forma di amore, un modo per mostrare interesse, pensano che se si è in una relazione sia in qualche modo normale rinunciare ad amicizie o frequentazioni che possano infastidire l’altro e considerano la condivisione delle password come una dimostrazione di amore.
Un quadro allarmante che, se da un lato è fortemente rappresentativo dell’immaginario stereotipato che gli adulti, più o meno consapevolmente, trasmettono ai più giovani, dall’altro è inevitabilmente collegato con le modalità di relazione che questi adottano sin dai primissimi legami affettivi. Minimizzano la violenza, pensando che uno schiaffo ogni tanto può scappare all’interno di una relazione, normalizzano il controllo pretendendo la geolocalizzazione o gestendo amicizie o profili dell’altro/a e poco ne sanno di consenso considerando che all’interno di una relazione intima sia sempre scontato che il partner sia d’accordo ad avere un rapporto sessuale o sostenendo che l’atteggiamento o l’abbigliamento di una ragazza possa in qualche modo, contribuire a provocare una violenza sessuale. E’ attraverso questi modelli interiorizzati che gli adolescenti entrano in relazione tra loro a volte, con condotte abusanti e prevaricatrici.
Così la violenza di genere in adolescenza, tanto quanto quella in età adulta, presenta caratteristiche ben determinate. Vengono pertanto agite forme di violenza sessuale, fisica, psicologica o emotiva, vengono invasi gli spazi personali e soprattutto vengono perpetrate dinamiche di controllo e possesso, finanche l’omicidio. Il femminicidio di Martina, così come il crescente numero di giovani e giovanissime vittime della violenza di genere ci ricorda la necessità di adottare azioni di prevenzione volte al cambiamento culturale che siano sistematiche e poste in essere da professioniste che lavorano a contatto con le donne vittime della violenza maschile e pertanto esperte del fenomeno. Adottando azioni, anche politiche, che prevedano percorsi scolastici di educazione alla affettività e alla sessualità.
Perchè se il femminicidio di Martina, ammazzata a 14 anni ci indigna, forse più degli altri, è indubbio che piangere l’ennesima donna, ragazza non risolve il problema, né lo fanno le sempre crescenti leggi che prevedono azioni di intervento a violenza già compiuta. La prevenzione è l’unica vera arma che abbiamo per poter sperare che i nostri figli e le nostre figlie vivano liberamente in relazioni non violente.