La rete di segnalazioni di Francesco Emilio Borrelli: “Così scopro piccole e grandi illegalità”

Francesco Emilio Borrelli, deputato “social”, racconta  come si svolge il suo lavoro nel quotidiano e come riesce a stanare piccole e grandi illegalità.
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Francesco Emilio Borrelli
Francesco Emilio Borrelli

Francesco Emilio Borrelli, giornalista, deputato napoletano dei Verdi, è sicuramente uno dei politici più "social" del Paese. A Fanpage spiega qual è il suo modus operandi, come cioè riesce a diventare una sorta di agenzia di stampa che documenta esclusivamente malefatte e "cialtronerie" partenopee. «Io non ho poteri speciali. Sono solo una persona che porta fino in fondo il proprio mandato e che è molto presente sul territorio. La critica che più spesso mi fanno? “Borrelli è un provocatore!”. Io preferisco dire: un provocatore di legalità. Allora la domanda diventa: sono io il provocatore perché chiedo rispetto delle regole, o sono loro – e chi li sostiene – il vero problema di questa città?»

Tecnicamente passa ovviamente tutto via smartphone. Lo stesso che Borrelli tiene ben saldo in mano quando va in giro, sempre in diretta sui social. «Io non faccio magie: quello che so, lo sanno anche altri. La differenza è che io decido di intervenire. Ho un numero WhatsApp pubblico e ormai una rete capillare di informatori, a volte veri e propri giornalisti, che colgono subito la notizia e la sua portata. Questo mi permette di fornire elementi utili per far muovere le forze dell’ordine. Ecco perché vengo definito provocatore. Ma al massimo con me si può avere un alterco verbale. Poi, spesso, si passa alle aggressioni. La questione non riguarda solo chi compie azioni violente, ma anche chi li sostiene e li giustifica socialmente».

Il discorso si sposta poi su una vicenda scoperchiata da Fanpage, quella dei tantissimi negozietti di calamite souvenir comparsi come funghi sul territorio partenopeo: «La Guardia di Finanza sta indagando e ha già avviato verifiche – dice Borrelli -. Io vedo due possibili filoni d’inchiesta. Il primo riguarda il rapporto tra questi negozi e alcuni CAF (centri assistenza fiscale ndr.) napoletani: mi è stato riferito – e andrà approfondito – che certi CAF permetterebbero ad alcune persone di arrivare in Italia con contratti di lavoro fittizi in questi negozi. In pratica, non solo non verrebbero pagati, ma addirittura pagherebbero loro per lavorare, pur di ottenere l’ingresso regolare. Il secondo filone – conclude Borrelli – è quello del riciclaggio di denaro. Bisogna capire come sia possibile che uno stesso proprietario abbia affittato più locali lungo via Chiaia per venderci calamite e magliette identiche. Che senso ha aprire un negozio dopo l’altro, fianco a fianco? Non ne ha. Per questo temo e credo che ci sia dietro anche un meccanismo di riciclaggio».

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