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Novità sulla morte di Mario Paciolla

Il Tribunale di Roma ha archiviato l’indagine per la morte di Mario Paciolla

Per i giudici romani Mario Paciolla si è suicidato. La decisione a 4 mesi dall’udienza. I genitori ed i legali annunciano ancora battaglia: “Lotteremo fino a quando non otterremo la verità processuale”.
A cura di Antonio Musella
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La decisione del Tribunale di Roma è arrivata oggi, a quasi 4 mesi dall'udienza dove per la seconda volta i pm della Procura di Roma avevano chiesto l'archiviazione del caso per la morte di Mario Paciolla, il cooperante italiano morto in Colombia il 15 luglio del 2020. Il Tribunale ha deciso per l'archiviazione. Una decisione che lascia profonda amarezza ed incredulità. La recente inchiesta di Fanpage.it aveva portato alla luce una lunga serie di incongruenze e contraddizioni nella versione data dalle autorità colombiane, avallata dai pm di Roma, secondo i quali Mario si sarebbe suicidato.

Avevamo mostrato le incongruenze della presunta dinamica del suicidio, l'alterazione, accertata tra l'altro in ambito investigativo e riconosciuta dai giudici, della scena del crimine che era stata completamente ripulita dal responsabile della sicurezza del team Onu in cui lavorava Mario, Christian Thompson. Avevamo anche mostrato come Mario si stava occupando di una serie di omicidi oscuri che avevano riguardato attivisti sociali e figure di riferimento dei villaggi del distretto di San Vicente del Caguan, dove Mario operava nell'ambito della missione Onu per il rispetto degli accordi di pace tra il governo colombiano e le Farc. Per il Tribunale di Roma però il caso è stato archiviato e resta valida la tesi del suicidio di Mario Paciolla.

Famiglia ed avvocati: "Continueremo a lottare"

In una nota i familiari di Mario e gli avvocati Alessandra Ballerini e Emanuela Motta esprimono tutta la loro amarezza per la decisione del Tribunale di Roma. "Prendiamo atto con dolore e amarezza della decisione del tribunale di Roma di archiviare l’omicidio di nostro figlio Mario. Noi sappiamo non solo con le certezze del nostro cuore, ma con l’evidenze della ragione frutto di anni di investigazioni e perizie, che Mario non si è tolto la vita ma è stato ucciso perché aveva fatto troppo bene il suo lavoro umanitario in un contesto difficilissimo e
pericoloso in cui evidentemente non bisognava fidarsi di nessuno". I genitori Anna Motta e Pino Paciolla, con le sorelle di Mario, Raffaella e Paola, spiegano però che la battaglia non finisce qui. "Sappiamo che questa è solo una tappa, per quanto ardua e oltraggiosa, del nostro percorso di verità e giustizia. Continueremo a lottare finché non otterremo una verità processuale e non sarà restituita dignità a
nostro figlio. Utilizziamo con rammarico e sofferenza il verbo “lottare”, mai avremmo pensato di dover portare avanti una battaglia per avere una giustizia che dovrebbe spettarci di diritto. Sappiamo però che non siamo e non resteremo mai soli. Grazie a tutte le persone che staranno al nostro fianco fino a quando la battaglia non sarà vinta" conclude la nota.

Nell'inchiesta di Fanpage tutti gli elementi per una tesi diversa

Da 5 anni i genitori di Mario, Anna e Pino, insieme al Comitato "Verità e Giustizia per Mario Paciolla" si battono per ottenere una verità processuale. Cinque anni in cui hanno girato l'Italia, incassato la solidarietà ed il sostegno della società civile, di molte forze politiche che proprio dopo l'ultima inchiesta di Fanpage.it avevano interrogato nuovamente il governo, come il Partito Democratico ed il Movimento 5 Stelle. Nel nostro lavoro avevamo ricostruito gli ultimi 5 giorni di vita di Mario, a partire da una riunione del 9 luglio del suo team insieme ad altre agenzie governative ed agenzie Onu, tra cui l'Ufficio per la droga ed il crimine delle Nazioni Unite, che non aveva alcun ruolo specifico negli accordi di pace tra governo e Farc. Dopo quella riunione, in cui, come ha rivelato Fanpage.it, si discusse dell'omicidio di un tesoriere di un villaggio vicino a San Vicente del Caguan, Mario iniziò ad avere paura per la sua incolumità. Lo confessò ai genitori, dicendo che doveva andare via subito dalla Colombia e che non voleva tornarci più. Mario disse alla sua fidanzata che avrebbe dovuto lasciarla, per il suo bene, ma che quando sarebbe tornato in Italia le avrebbe permesso di raggiungerlo e le avrebbe spiegato tutto. Confessò anche ad un'amica di non fidarsi di Christian Thompson, il responsabile della sicurezza del suo team, funzionario Onu, poi promosso dopo la morte di Mario. Fu Thompson a trovare il cadavere di Mario, e sempre lui ripulì con la candeggina l'appartamento di Mario cancellando ogni traccia e buttando in discarica alcuni oggetti presenti nella casa di Mario. Dall'abitazione del cooperante italiano, sparirono anche i suoi quaderni, dove appuntava tutto, compreso le interviste che faceva agli attivisti sociali dei villaggi dove operava. La nostra inchiesta aveva anche mostrato tutte le falle di un suicidio che sarebbe culminato con Mario pendente con i piedi che toccavano terra e la sedia sulla quale sarebbe salito, comodamente in piedi accanto al corpo. Tutti elementi che avrebbero consentito di indagare la pista dell'omicidio piuttosto che quella del suicidio. Ad avvalorare la tesi anche la perizia medico legale del dottor Fineschi, che mostrò tracce di lidocaina nel corpo di Mario, che ha una funzione anestetico paralizzante, e che definì la rottura dell'osso ioide, sotto al collo del cooperante italiano, più compatibile con lo strangolamento piuttosto che con una dinamica suicidaria. Per il Tribunale di Roma questi elementi evidentemente sono risultati non rilevanti.

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