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Femminicidio di Martina Carbonaro

“Ho parlato con i miei alunni del femminicidio di Martina Carbonaro, ho capito che non riconoscono la violenza”

Angela, 29 anni, insegna in un liceo della provincia di Napoli, non lontano dalla città in cui è morta la 14enne Martina Carbonaro. All’indomani del femminicidio ha deciso di parlare con i suoi studenti della violenza, e ha scoperto che i ragazzi non sanno riconoscere i segnali né a chi chiedere aiuto.
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Angela* ha 29 anni, insegna Dante, Foscolo e Tacito agli studenti di un liceo della provincia di Napoli. Molte delle sue alunne e dei suoi alunni hanno l’età di Martina Carbonaro, la 14enne uccisa ad Afragola dall'ex fidanzato di appena 19 anni. Per questo all’indomani del femminicidio ha scelto di affrontare il tema della violenza tra i banchi della sua classe. Quello che ha ascoltato parlando con loro, però, è molto diverso da quello che si aspettava.

"Sia le ragazze che i ragazzi sono soli davanti a questo fenomeno. Noi adulti pensiamo di bombardarli di informazioni sulla violenza di genere, ma la realtà è che non sanno riconoscere il limite e non sanno a chi rivolgersi in caso di aiuto. Questa non è una colpa solo della scuola, ma di tutti: delle famiglie e della società".

Perché hai deciso di parlare in classe del femminicidio di Martina Carbonaro? 

Nel liceo delle Scienze Umane in cui insegno ho una classe con ragazze e ragazzi della stessa età di Martina Carbonaro. Di solito i femminicidi avvengono tra ragazzi più grandi, non mi era mai capitato di associare un caso simile a un alunno appena uscito dalle scuole medie. Mi sembrava giusto quindi affrontare l'argomento con entrambi i sessi, volevo parlare della violenza contro le donne, ma anche di quella che può colpire tutti indistintamente. Soprattutto volevo raccogliere le loro emozioni, capire cosa pensassero.

Cosa ti hanno detto?

Sono rimasti in silenzio per tanto tempo. Forse non si aspettavano proprio di parlarne: prima di me c'erano state quattro ore di lezione, ma nessun professore aveva toccato l'argomento, a me invece è sembrato naturale mettere in pausa il programma per quell'ora. Ho visto dei ragazzi veramente scossi, nonostante abbiano 14 anni hanno avuto la sensibilità di ascoltare, di raccontare, di esprimere le loro idee. Io ho posto delle domande, per capire che cosa pensassero della cosa, ma soprattutto che cosa sapessero della violenza, sia fisica che verbale. Non hanno saputo dare una risposta. Dal dibattito che è nato era evidente che nessuno avesse chiaro il concetto di limite tra quello che separa un comportamento normale da uno problematico.

Non sanno riconoscere la violenza?

No, almeno non nelle prime fasi. Per loro superare il limite è quando il ragazzo ti impone di non uscire di casa, alza la voce, e tira degli schiaffi. Si tratta di manifestazioni conclamate della violenza. Questo da una parte è dovuto all'età, ma in parte si deve anche ad altri fattori, come società e contesto familiare. Hanno un'idea astratta, ma nel pratico non sanno qual sia il limite, e soprattutto davanti a una situazione di abuso non saprebbero a chi rivolgersi.

La colpa è della scuola?

No, si parte dal contesto familiare, poi, solo dopo, dipende dalla scuola. La prima educazione avviene in famiglia, è qui che si dovrebbero ricevere le prime informazioni e la prima forma di sensibilizzazione. I miei alunni invece non sapevano neanche riconoscere il fiocco rosso simbolo della violenza contro le donne. Per me è il segnale che quando parliamo di sensibilizzare i più giovani stiamo sbagliando tutto, perché quello che facciamo in realtà è parlarne tra noi, tra adulti.

Perché non riusciamo a raggiungere i giovanissimi?

Non frequentano i canali che usiamo noi, non partecipano al nostro dibattito, sono sintonizzati altrove. Mentre gli adulti ascoltano la televisione, perché anche per molti di noi millennal si tratta di una fonte autorevole, i 14enni sono sui social, e qui si chiudono nelle loro bolle. Le principali piattaforme propongono sempre lo stesso tipo di contenuto, ed è difficile riuscire a fare passare un messaggio costruttivo. Quindi i più giovani sono chiusi in loro stessi, non riescono ad accedere a delle informazioni vitali, e la cosa peggiore è che noi pensiamo addirittura di bombardarli con queste cose. La realtà è molto diversa, e non riguarda solo la provincia di Napoli o il Sud.

Cosa avete fatto alla fine della discussione?

Abbiamo realizzato un cartello con le informazioni che possono salvare: rivolgiti ad un'amica, parla con una persona adulta, esprimi cosa provi. Loro da soli non ce la possono fare. C'è bisogno dell'aiuto di un adulto, che sia un genitore, una sorella più grande, un'insegnante. L'importante è che sappiano che non sono soli.

*Nome di fantasia per proteggere l'identità della scuola e degli alunni

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