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Opinioni

Il femminicidio di Anna Scala è stato un agguato. Così il suo ex ha voluto esercitare il controllo definitivo

L’analisi criminologica: la morte di Anna conferma che per fermare l’ondata sanguinaria contro le donne non basta chieder loro di non andare all’ultimo appuntamento.
A cura di Anna Vagli
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Ennesima croce rosa. Anna Scala, 56 anni, è stata accoltellata dall’ex compagno, Salvatore Ferraiuolo, 54 anni, mentre riponeva la spesa nel bagagliaio della sua automobile. Poi, dopo aver lasciato il cadavere nel bagagliaio, l'uomo, già denunciato per stalking dalla ex, è fuggito a bordo del suo scooter. La fuga di Salvatore, impiegato in un’azienda ittica, è durata solamente qualche ora. L’uomo ritenuto fortemente indiziato dell'assassinio è stato infatti fermato e nella tarda serata di ieri avrebbe ammesso le sue responsabilità.

Anna è l'ennesima donna uccisa in quanto donna. Un elenco di vittime che ormai ha assunto i connotati del bollettino di guerra. Anni di battaglie, leggi e di appelli. Ieri la cronaca nera ci ha dimostrato ancora una volta che non c’è nessun codice rosso che tenga. Anna aveva denunciato l’ex compagno per il reato di atti persecutori, lo stalking che tutti conosciamo. Eppure, quella denuncia non è valsa a salvarle la vita.

Il sistema ha fallito. Ancora una volta. Ed ha fallito perché non è riuscito a tutelare chi aveva seguito le procedure che quello stesso sistema richiede di seguire quando si cade vittima di certi meccanismi malati. Dunque, cosa c’è ancora da imparare da questo ennesimo femminicidio? Purtroppo, sempre moltissimo.

Anzitutto, la morte di Anna conferma ancora una volta che per fermare l’ondata sanguinaria non basta chiedere alle donne di non andare all’ultimo appuntamento. Non si può ridurre la battaglia contro la violenza di genere a questo. Perché nella maggior parte dei casi gli assassini hanno le chiavi di casa. O, come ci dimostrano i fatti di Piano di Sorrento, arrivano addirittura a tendere un agguato. Come fanno le organizzazioni criminali.

Ma la morte di Anna palesa anche un altro dato sconcertante. Evidenzia cioè come in realtà le denunce non consentono di proteggere le vittime. Semmai, al contrario, agevolano il lavoro degli inquirenti nell’identificazione del responsabile una volta commesso il delitto. Un colpevole al quale si risale proprio indagando sulla vita privata della vittima di turno, sulle sue relazioni e, a quanto pare, anche sulle denunce presentate contro l’ex di turno. Mi sembra lampante, però, che queste ultime dovrebbero essere prese in considerazione quando si è ancora in tempo. Non quando è già troppo tardi. Trovino una quadra le istituzioni. Le donne devono salvarsi da sole?

Anna Scala è stata vittima di un agguato

Ciò che colpisce in questo femminicidio, e che potrebbe costituire un pericoloso precedente in termini emulativi, è la modalità con la quale Anna Scala è stata uccisa dal suo ex compagno. Oltreché il modo con il quale il suo cadavere è stato abbandonato.

Anna è stata aggredita alle spalle mentre riponeva la spesa nel bagagliaio della sua automobile dopo che l’assassino ha sfrecciato a bordo del suo scooter. Un agguato. Una vera e propria esecuzione che riflette non soltanto la volontà di guadagnare terreno per quel che attiene la riuscita dell’azione omicidiaria. Ma anche dinamiche di potere e controllo. Quelle dinamiche che l’uomo non aveva più su Anna. E che ha voluto riaffermare uccidendola in maniera vile e beffarda.

Salvatore Ferraiuolo ha studiato e pianificato l’omicidio in ogni dettaglio, ha verosimilmente scelto il momento propizio  conoscendo le routine, le abitudini e gli spostamenti della ex compagna. E ha ucciso. Con il non troppo velato obiettivo di cogliere la vittima completamente di sorpresa.

Nel luogo in cui più si sentiva al sicuro e nel quale non aveva motivo di sospettare o dubitare di niente. Tantomeno di tenere alta la guardia. Nessun ultimo appuntamento, quindi. Anzi, come in ogni agguato che si rispetti, l’elemento sorpresa è stato determinante. Puntando a cogliere Anna impreparata e senza difese.

L'agguato ha anche un significato simbolico. Rappresenta un tradimento nei confronti della vittima. Oltreché il desiderio di dimostrare la propria potenza e il proprio dominio. Salvatore ha voluto ripristinare i ruoli di genere. Riappropriandosi del controllo su Anna sia attraverso il delitto. Peraltro, pugnalandola alle spalle come ultimo tentativo di sopraffazione. Sia riprendendo il dominio sulla situazione.

Quest’ultimo ottenuto attraverso l’abbandono del cadavere nel bagagliaio prima di fuggire a bordo dello scooter. Ciò perché, in termini criminologici, l’atto di disporre del corpo in modo così insensibile e degradante riflette una totale mancanza di empatia e di qualsiasi forma di rispetto per la persona uccisa. Ridotta ad un mero oggetto da eliminare o nascondere.

Non è difficile capire quindi che l’intento di Salvatore non era quello di occultare il corpo di Anna, non essendo certo quella una modalità funzionale all’obiettivo. Al contrario, Salvatore sarebbe stato mosso dal desiderio ultimo di esercitare per sempre il controllo totale sulla vittima. Anche dopo la sua morte.

La questione del movente

Come addetta ai lavori, prima ancora che come donna, trovo preoccupante continuare a perseverare nell’ostinata ricerca di un movente, o presunto tale, quando si verificano fatti di sangue come quello di Piano di Sorrento. Questo perché il messaggio che passa è che debba esserci in ogni caso un espediente.

Un qualcosa che possa anche solo lontanamente giustificare ciò che non è in alcun modo giustificabile. Come addetta ai lavori, dicevo. E lo dicevo perché, nel nostro sistema giudiziario sono ormai anni che a livello giurisprudenziale sono collaudate le condanne anche in assenza di movente. Ciò in quanto, anche laddove quest’ultimo manchi, non resta mai escluso il dolo.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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