Arrestato reggente dei Casalesi: inedita alleanza coi Di Lauro per la cocaina

Non solo estorsioni e truffe assicurative, ma anche traffico di droga, in questo caso acquistando gli stupefacenti venivano acquistati da pregiudicati legati al clan Di Lauro. L'inedita alleanza emerge dall'inchiesta sui Casalesi che ha portato in carcere, tra gli altri, Pasquale Apicella, 57 anni, di recente scarcerato dopo una lunga detenzione e ritenuto reggente di due fazioni, quella dei Bidognetti e quella degli Schiavone. Con lui sono finite in manette altre quattro persone, tra cui Giovanni e Mario Cortese, padre e figlio, legati alla cosca di via Cupa dell'Arco, accusati di avere fornito ad Apicella la cocaina.
Blitz contro i Casalesi, arrestato il reggente Apicella
L'inchiesta, coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia, è sfociata nell'ordinanza firmata dal gip di Napoli ed eseguita dai carabinieri; nel corso delle indagini è stato sequestrato un chilo di droga. I reati contestati ai cinque destinatari delle misure cautelari sono, a vario titolo, associazione camorristica, con l'aggravante mafiosa, la tentata estorsione, la truffa, il traffico di droga e il trasferimento fraudolento di valori. Per gli inquirenti Apicella aveva conquistato il ruolo di primo piano nelle due fazioni anche perché cognato dei fratelli Salvatore e Vincenzo Cantiello, entrambi da anni detenuti, storicamente luogotenenti di Francesco Bidognetti e successivamente passati con gli Schiavone. Tra i 24 indagati coinvolti nell'inchiesta ci sono anche due persone specializzate nelle truffe con le assicurazioni false, e gli introiti sarebbero andati proprio al 57enne.
L'estorsione all'imprenditore
Apicella si sarebbe inoltre reso responsabile di una estorsione ai danni di un imprenditore, titolare di un caseificio: in quello stabilimento morì il cognato del 57enne in un incidente sul lavoro e il presunto reggente del clan pretese un risarcimento 700-800mila euro o, in alternativa, l'assunzione delle due figlie del parente deceduto. Dalle indagini è infine emerso che Apicella gestiva anche una società di autonoleggio, tramite un prestanome, in modo da non essere direttamente riconducibile all'attività e, quindi, eludere le indagini sul suo patrimonio, sui proventi illeciti e sui soldi riciclati.