Alhagie Konte morto di tubercolosi: “Entrato nel carcere di Poggioreale in buona salute, ne è uscito in fin di vita”

Il caso del ragazzo di 27 anni morto di tubercolosi in stato avanzato dopo aver trascorso un mese in isolamento al carcere di Poggioreale. La Procura ha disposto il sequestro della salma e l’autopsia.
A cura di Antonio Musella
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Alhagie Konte, 27 anni originario del Gambia
Alhagie Konte, 27 anni originario del Gambia

La Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un fascicolo a seguito della morte di Alhagie Konte, un ragazzo di 27 anni originario del Gambia, deceduto pochi giorni fa all'ospedale "Cotugno" per una tubercolosi in stato molto avanzato. Il giovane era detenuto presso il carcere di Poggioreale, e nelle ultime settimane avrebbe lamentato dolori ed uno stato fisico di estrema sofferenza.

È arrivato all'ospedale "Cardarelli" solo dopo che i suoi compagni di cella lo avrebbero accompagnato in medicheria. Una volta ricoverato è stato subito palese che le sue condizioni di salute fossero gravissime. Il trasferimento all'ospedale Cotugno, specializzato in malattie infettive, è stato un estremo tentativo di salvargli la vita, ma Alhagie è morto dopo 6 giorni.

Il Movimento Rifugiati e Migranti di Napoli, di cui Alhagie aveva fatto parte, chiede verità per la morte del ragazzo gambiano, in particolare chiedono di fare piena luce sul fatto che vi sia stata assistenza sanitaria per il giovane nel carcere di Poggioreale. La Procura ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e della salma, su cui sarà effettuata l'autopsia.

Il legale: "Dalle testimonianze raccolte sembrerebbe che non ci sia stata assistenza"

Lucia Esposito è l'avvocata che sta seguendo il caso di Alhagie Konte, insieme al Movimento rifugiati e migranti di Napoli. Ed è lei che a Fanpage.it ripercorre le tappe del calvario del 27enne fino alla sua morte. "Da quello che sappiamo lui era in buona salute – spiega – sappiamo che svolgeva attività lavorativa nel carcere, una circostanza che denota il fatto che non fosse considerato una persona socialmente pericolosa, visto che per essere autorizzati bisogna avere una condotta eccellente". Ed è qui che c'è il primo mistero di questa tragica vicenda. Alhagie era un lavorante, quindi non era considerato pericoloso ed anzi, era considerato un detenuto affidabile.

Ma nel mese di luglio viene sottoposto al regime di isolamento. Non se ne conoscono ancora le cause, ma è proprio dopo il periodo di isolamento, all'inizio di settembre, che Alhagie mostra uno stato di salute molto grave. "Da quello che sappiamo aveva tosse, muchi, gonfiori – spiega l'avvocata Esposito – dalle testimonianze che abbiamo raccolto, lui avrebbe chiesto aiuto medico, ma sembrerebbe che non gli sia stato fornito". Alhagie sta sempre peggio e lo notano anche i compagni di cella, proprio loro, da quanto raccolto dalle testimonianze del legale, avrebbero raccontato di aver portato il ragazzo in medicheria. "Solo dopo l'arrivo in medicheria viene disposto il ricovero al Cardarelli – spiega la Esposito – ma le condizioni erano ormai critiche. Se tutte queste cose dovessero essere confermate si potrebbe andare a delineare  un quadro di grave negligenza sanitaria, nei confronti di un soggetto giovane entrato in carcere in buona salute".

Ed è quello che dovrà scoprire la Procura di Napoli che al momento vede il fascicolo direttamente nelle mani del procuratore capo Nicola Gratteri. Gli esiti dell'autopsia potranno chiarire innanzitutto la data del contagio da tubercolosi, condizione fondamentale per capire cosa sia avvenuto tra le mura del carcere di Poggioreale e se ci sia stato o meno la necessaria assistenza sanitaria.

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Gli attivisti: "Vogliamo sapere la verità"

Alhagie aveva conosciuto tra il 2017 ed il 2018 gli attivisti del Movimento rifugiati e migranti di Napoli, quando era ospite di un centro di accoglienza nella zona di Piazza Garibaldi. Ben presto era diventato un'attivista anche lui. E sono proprio i suoi compagni e le sue compagne a denunciare pubblicamente questa storia, chiedendo di sapere la verità. "Noi vogliamo sapere come sia possibile che sia entrato in carcere in buona saluta e ne sia uscito in fin di vita" spiega a Fanpage.it Mariema Faye, del Movimento rifugiati e migranti di Napoli. "Abbiamo molti interrogativi da porre, ed il primo è come sia possibile che la morte di Alhagie sia stata comunicata ai familiari solo molti giorni dopo" sottolinea. Ed è lo zio, Alhagie Sangateh, il fratello della madre, a confermare a Fanpage.it come ha scoperto della morte di suo nipote. "Alhagie prima di entrare in carcere era in uno stato di salute perfetto – ci dice – l'amministrazione del carcere non mi ha mai chiamato per informarmi della sua morte, l'ho saputo da un ragazzo che alcuni giorni dopo la sua morte mi ha telefonato, mi ha detto Alhagie è morto".

Sono state date tutte le cure del caso ad Alhagie Konte? Cosa si è fatto per curarlo dalla tubercolosi? Ma non solo. "Ci chiediamo, accertato che Alhagie è morto di una malattia infettiva, tutte le persone che sono state a contatto con lui sono state avvisate? Sono stati sottoposti a test? Dobbiamo immaginare che ci possa essere un focolaio di tubercolosi a Poggioreale?" si chiede Mariema Faye. Alaghie avrebbe avuto diritto anche alle misure alternative, il giudice infatti nel suo caso aveva anche disposto glia arresti domiciliari.

Ma nel frattempo il ragazzo aveva perso la residenza e quindi non c'era possibilità di indicarne una dove poter fare la detenzione domiciliare. "Noi sappiamo che le carceri soffrono di sovraffollamento – spiega Faye – questo potrebbe essere mitigato dalle misure alternative, ma Alhagie come molti cittadini stranieri in Italia, una volta entrato in carcere ha perso anche la residenza, e non aveva nessun posto dove fare i domiciliari. Ci sarebbero delle comunità predisposte, che poi tracciano dei percorsi di reinserimento in società con il detenuto, ma anche queste sono sempre piene. Di fatto non è stato possibile far esercitare un diritto ad Alhagie, una decisione che era stata già presa anche dal giudice". Avrebbe dovuto fare i domiciliari e reinserirsi in società, invece in poco più di due mesi la sua vita è finita tragicamente e dolorosamente, con la tubercolosi che lo ha divorato. Non si sa perché da lavorante, quindi da detenuto con condotta eccellente, sia finito in isolamento. Non si sa se e quando abbia ricevuto cure. Di fatto sappiamo solo che è entrato sano ed è uscito morto.

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